Trattare
di temi politici ma anche di “usi e costumi” e parlare di “mondo
arabo” o di “Islam” e mussulmani, in generale, senza alcun
distinguo, è davvero segno di pressapochismo: sarebbe come parlare
di “Cristiani” o “europei”, senza altra connotazione
distintiva.
In
questa direzione, già parecchio tempo fa, un amico mussulmano mi
faceva osservare: “ma scusa, vuoi farmi credere che tutti i
Cristiani vivono allo stesso modo e con il medesimo coinvolgimento la
fede cristiana?”.
Nei
reportage e negli articoli dei nostri media, sembra quasi che le
società arabe nelle loro complessità non abbiano un ruolo, paiono
non esistere.
Ma
se guardiamo i fatti più da vicino, la distanza tra commenti,
titoli, linguaggi e la realtà lascia interdetti. Meno si conosce,
più si usa il prisma deformante di sempre, secondo il quale “il
mondo mussulmano è uno solo, dominato dal primato della religione ,
non ha conosciuto l’illuminismo e pertanto non vi è libertà di
pensiero e, pertanto, non potrà entrare nella modernità.”
Interessante,
per uscire da queste semplificazioni, l’articolo di Oliver Roy,
grande esperto di Islam, pubblicato su Internazionale del 28
settembre scorso.
Fa
osservare Roy che le proteste che scuotono alcuni Paesi arabi, non si
possono comprendere se non si dissocia proprio il politico dal
religioso.
Non
sono i giovani di piazza Tahir, dell’Avenue Bourghiba che hanno
attaccato le ambasciate americane, e non sono nemmeno i vincitori
delle elezioni, fratelli mussulmani in Egitto, il partito Ennadha in
Tunisia. Al contrario, osserva Roy, a promuovere la violenza
sarebbero “i critici delle primavere accusate di aver distolto
la lotta dai veri obiettivi: Israele, l’Occidente, la
secolarizzazione dei costumi. I salafisti tunisini rifiutano la
democrazia , negano l’identità tunisina che dividerebbe la Umma,
la comunità dei credenti. Bruciano la bandiera nazionale ancor più
spesso di quella americana”. E’ quasi scontato che la
violenza sia il loro modo di imporsi.
E
in Egitto la situazione è più complessa, perché una
parte dei salafisti è entrata nel gioco elettorale con un certo
successo.
Vanno
anche registrati, secondo Roy, i primi effetti del cambiamento
profondo nell’equilibrio strategico nella regione seguito alle
primavere. Anche se i nostri media non lo trattano con il risalto
dovuto, va riconosciuto che il conflitto maggiore, non nuovo, ma
assai cresciuto, è quello che oppone un asse sunnita (Fratelli
mussulmani, turchia,sino all’Arabia Saudita e emirati), ad un asse
sciita, che si impernia sull’Iran e i suoi alleati (hezbollah
libanesi e il regime di Bachar Assad in Siria).
Per
approfondire, merita di essere letto integralmente l’articolo di
Oliver Roy "Tornano i profeti di scontro di civiltà"
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