1 novembre 2012

Scontro di civiltà? non ci credo

Parlare di “scontro di civiltà” è, se ci pensiamo bene, un ossimoro, per il semplice fatto che uno scontro non è mai “civile”. Se lo scenario rischia di essere confuso, allora è bene cercare qualche elemento di conoscenza.
Trattare di temi politici ma anche di “usi e costumi” e parlare di “mondo arabo” o di “Islam” e mussulmani, in generale, senza alcun distinguo, è davvero segno di pressapochismo: sarebbe come parlare di “Cristiani” o “europei”, senza altra connotazione distintiva.
In questa direzione, già parecchio tempo fa, un amico mussulmano mi faceva osservare: “ma scusa, vuoi farmi credere che tutti i Cristiani vivono allo stesso modo e con il medesimo coinvolgimento la fede cristiana?”.
Nei reportage e negli articoli dei nostri media, sembra quasi che le società arabe nelle loro complessità non abbiano un ruolo, paiono non esistere.
Ma se guardiamo i fatti più da vicino, la distanza tra commenti, titoli, linguaggi e la realtà lascia interdetti. Meno si conosce, più si usa il prisma deformante di sempre, secondo il quale “il mondo mussulmano è uno solo, dominato dal primato della religione , non ha conosciuto l’illuminismo e pertanto non vi è libertà di pensiero e, pertanto, non potrà entrare nella modernità.”
Interessante, per uscire da queste semplificazioni, l’articolo di Oliver Roy, grande esperto di Islam, pubblicato su Internazionale del 28 settembre scorso.
Fa osservare Roy che le proteste che scuotono alcuni Paesi arabi, non si possono comprendere se non si dissocia proprio il politico dal religioso.
Non sono i giovani di piazza Tahir, dell’Avenue Bourghiba che hanno attaccato le ambasciate americane, e non sono nemmeno i vincitori delle elezioni, fratelli mussulmani in Egitto, il partito Ennadha in Tunisia. Al contrario, osserva Roy, a promuovere la violenza sarebbero “i critici delle primavere accusate di aver distolto la lotta dai veri obiettivi: Israele, l’Occidente, la secolarizzazione dei costumi. I salafisti tunisini rifiutano la democrazia , negano l’identità tunisina che dividerebbe la Umma, la comunità dei credenti. Bruciano la bandiera nazionale ancor più spesso di quella americana”. E’ quasi scontato che la violenza sia il loro modo di imporsi.
E in Egitto  la situazione è più complessa, perché una parte dei salafisti è entrata nel gioco elettorale con un certo successo.
Vanno anche registrati, secondo Roy, i primi effetti del cambiamento profondo nell’equilibrio strategico nella regione seguito alle primavere. Anche se i nostri media non lo trattano con il risalto dovuto, va riconosciuto che il conflitto maggiore, non nuovo, ma assai cresciuto, è quello che oppone un asse sunnita (Fratelli mussulmani, turchia,sino all’Arabia Saudita e emirati), ad un asse sciita, che si impernia sull’Iran e i suoi alleati (hezbollah libanesi e il regime di Bachar Assad in Siria).
Per approfondire, merita di essere letto integralmente l’articolo di Oliver Roy "Tornano i profeti di scontro di civiltà"

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