- Notizia ancora fresca, anche se passata in fretta (forse
eccessiva e, quindi, sospetta?) sulle pagine dei nostri giornali, quella
riguardante il Nobel per la medicina: Giapponese, appena cinquantenne, il
vincitore. Altra nota importante: il premio viene assegnato per una scoperta
che risale a soli cinque anni fa. Come di re, che poco tempo è bastato per
validarne la straordinaria novità che, di fatto, scombussola e scardina alcuni
decenni di ricerca. La scoperta? aver scoperto che le cellule staminali adulte possono
essere riprogrammate diventando pluripotenti (sono le cosiddette Ips, Induced
Pluripotent Stem Cells): «Le loro scoperte - si legge nella motivazione del
premio – hanno rivoluzionato la nostra comprensione del modo in cui le cellule
e gli organismi si sviluppano», e senza dover ricorrere alle staminali ricavate
da embrioni. Riportiamo di seguito l’intervista
de “Il Sussidiario” ad Assuntina Morresi, docente di chimica fisica a Perugia e
membro del Comitato Nazionale di Bioetica, pubblicata lo scorso 9 ottobre.
Un Nobel inaspettato?
No, al contrario, di
Nobel se ne è parlato fin da subito, da quando cinque anni fa Ian Wilmut, lo scienziato
che ha fatto nascere la pecora Dolly, ha annunciato di abbandonare le ricerche
sulla clonazione mediante trasferimento nucleare, per dedicarsi alla nuova
strada trovata dallo scienziato giapponese Shinya Yamanaka.
Solo cinque anni fa,
la scoperta, e già il Nobel. Ricordiamo di che si tratta.
Fin dagli anni ’60 era
stato dimostrato che le cellule erano dotate di una certa plasticità. John Gurdon,
che ha condiviso ieri il Nobel con Yamanaka, aveva studiato la
riprogrammazione cellulare mediante trasferimento nucleare, clonando una
rana con la stessa tecnica con cui, trent’anni dopo, è stata fatta nascere la
pecora Dolly.
Come ha ricordato
l’Accademia delle Scienza di Stoccolma, Gurdon dimostrò che “la specializzazione
delle cellule è reversibile”. In quel caso, si tratta di togliere
il nucleo ad una cellula uovo – gamete femminile, negli esseri umani con 23 cromosomi
– e sostituirlo con il nucleo di una cellula matura – per esempio della pelle,
negli esseri umani con 46 cromosomi. L’organismo così formato,
sottoposto a stimolazioni chimiche o elettriche, inizia a comportarsi come un
embrione, dividendosi e sviluppandosi.
Questa tecnica ha
funzionato molto poco nei mammiferi (pochi gli animali clonati, e spesso
con tanti problemi) e mai per gli umani: nonostante tanti annunci sensazionali,
nessuno è mai riuscito a ricavare una sola cellula staminale embrionale
umana con questa procedura.
Lo sviluppo degli embrioni
umani clonati si arrestava prima di poterne ricavare le preziose staminali. Yamanaka
ha ripreso l’idea della riprogrammabilità cellulare e ha trovato un
metodo alternativo: una cellula adulta già specializzata (per esempio
della cute), sottoposta ad una manipolazione genetica abbastanza semplice, può
tornare indietro nel tempo, e perdere le sue caratteristiche “mature”
per assumerne di molto simili a quelle embrionali: è cioè di nuovo in
grado di differenziarsi in ogni tipo di cellule e tessuti del nostro corpo
(ossa, sistema nervoso, sangue, etc.). Queste cellule di nuovo “bambine”
sono le iPS, cellule staminali pluripotenti indotte, che hanno rivoluzionato
i laboratori del mondo in questo settore, e hanno condotto il giovane giapponese
(ha cinquanta anni) al Nobel.
Ma a che servirebbero
le iPS?
Sono la grande
promessa della medicina rigenerativa: l’idea di “sostituire” le cellule malate
con cellule sane, in tante malattie finora inguaribili (dal diabete a tante
malattie rare, e a forme degenerative come l’Alzheimer). Le cellule sane si
potrebbero ricavare dallo stesso corpo del malato: anche cellule della propria
pelle, per esempio, potrebbero essere trasformate in iPS, e poi “riprogrammate”
per diventare cellule di un tessuto diverso (magari del sistema nervoso),
cellule sane con cui sostituire quelle malate. Per correttezza nei confronti di
tanti pazienti, è bene ricordare che tutte queste cure non sono certo dietro
l’angolo, e che siamo su una strada ancora lunga da percorrere. Però la
direzione sembra quella giusta, adesso.
Il vantaggio?
Innanzitutto, in
questo modo ogni persona può ottenere dal proprio corpo cellule iPS con il
proprio patrimonio genetico, in grande quantità. Ci sono ancora problemi sperimentali
a riguardo che però gli esperti del settore segnalano in via di risoluzione. Ma
soprattutto queste cellule iPS si ottengono senza dover distruggere embrioni,
come invece sarebbe avvenuto nel caso in cui la “clonazione terapeutica” avesse
funzionato negli esseri umani: in ovociti di donne, si sarebbe sostituito il nucleo
di cellule adulte della persona malata, e gli embrioni formati, cloni del
paziente, sarebbero stati distrutti dopo alcuni giorni per ricavarne staminali
embrionali da cui ricavare le cellule “sane” da sostituire a quelle “malate”.
Per arrivare a questa
scoperta Yamanaka ha usato informazioni ricavate dalla ricerca sugli embrioni?
Embrioni si, ma di
topo: l’esperimento con cui Yamanaka ha dimostrato l’esistenza delle iPS e le loro
caratteristiche è stato condotto interamente sui topi. Così come John Gurdon ha
clonato rane. La sperimentazione animale, che sempre deve precedere quella
umana, ha dato risultati straordinari: non c’era bisogno di distruggere
embrioni umani in quantità che non conosceremo mai, ma sicuramente in
dimensioni massicce, per arrivare a questi risultati.
Però dalla ricerca
sugli embrioni umani sono arrivate anche informazioni importanti…
Anche gli esperimenti
disumani nel lager nazisti davano risultati interessanti. Se si potessero fare esperimenti
senza vincoli di sorta sugli esseri umani, ne ricaveremmo sicuramente
informazioni importanti. Anni fa, sul Journal of Medical Ethics, per esempio,
si ipotizzò la possibilità di utilizzare persone in stato vegetativo per esperimenti
sugli xenotrapianti (trapianti di organi da animali a umani), basandosi
sull’idea che quelle persone erano vive abbastanza da reagire clinicamente agli
interventi, ma potevano essere oggetto di ricerche di quel tipo perché tanto
non si sarebbero più svegliate. Se seguissimo le indicazioni di questo
articolo, scopriremmo sicuramente cose molto interessanti e utili, ma è
evidente l’orrore della cosa in sé. La regolamentazione delle sperimentazioni
umane, così come l’esistenza stessa del consenso informato, nascono proprio come
reazione all’orrore degli esperimenti dei campi nazisti, a prescindere dai
risultati che ne sono venuti. Le persone non possono mai essere usate come mezzo,
come cosa, in nessun momento della propria vita, neppure quando degli esseri
umani non hanno ancora le fattezze, come accade per le persone non nate, allo
stadio embrionale, e in nome di nessun progresso, scientifico o sociale, o
chissà cos’altro.
E adesso cosa potrebbe
succedere?
Molto è già successo
in questi cinque anni: dall’annuncio di Yamanaka la ricerca scientifica nei
laboratori di tutto il mondo ha cambiato direzione, abbandonando le tecniche di
“clonazione terapeutica”. Adesso questa strada sarà seguita con ancora maggiore
decisione e consapevolezza da parte della comunità scientifica. Eppure in
questi anni non sono mai mancate le polemiche sulla distruzione di embrioni
umani per la ricerca.
Perché?
Perché se nella
clonazione terapeutica sono stati investiti, da parte di nazione ma anche di
privati, fiumi di soldi, è difficile poi dire: scusate, abbiamo sbagliato, la
strada giusta era un’altra, dobbiamo ricominciare. Ma soprattutto perché
l’ideologia è dura a morire: la ricerca che distrugge gli embrioni non è “solo”
una tecnica più o meno sofisticata di manipolazione cellulare. È l’affermazione
del fatto che se qualcosa è tecnicamente possibile, deve essere anche lecita.
Ed è l’espressione massima della possibilità di dominare la vita umana, fino a
poterla creare, quel “playing God”, giocare ad essere Dio, che purtroppo
avvelena un certo tipo di ricerca sedicente scientifica, ma che di scienza ha
ben poco. Speriamo che questo Nobel serva a far riflettere.
Nessun commento:
Posta un commento