-Guardare al caso di Malala, la ragazza ferita dai talebani e candidata ora al Premio Nobel per la pace, per avviare un modo diverso di guardare all'Islam. Merita di essere
riportata quasi integralmente la riflessione di Souad Sbai*, apparsa su Il
sussidiario del 14 novembre e dedicata alla percezione distorta che abbiamo del
mondo arabo in generale e dell’integralismo islamico in particolare.
Osserva Souad Sbai: Immagino sia piuttosto semplice avere
un’idea di cosa accade nel mondo arabo osservandolo di tanto in tanto dal
finestrino di un aereo. Oppure leggendo la cronaca sui giornali di qualche capitale
europea… Prendersela con l’Occidente e con gli Stati Uniti se oggi il binomio
Islam-terrorismo è divenuto d’ordine quotidiano, mi pare esercizio di stile
abbastanza sterile oltre che poco costruttivo per gli arabi che davvero sono preda e vittima del terrorismo. Qui
il discorso è più serio che mai.
Non mi diverte affatto né mi ha mai appassionato la
costruzione di un’idea del mondo arabo improntata alla piaggeria e al pianto
che frutta: la maggioranza degli arabi, quelli moderati e dediti alla realizzazione
di un quadrante più stabile e libero, certo non hanno mai chiesto lacrime e
mani protese nella ricerca di un obolo di carità.
Anzi. Ciò che dal
mondo arabo moderato e illuminato si è sempre chiesto è aiuto contro
l’estremismo, che ha infettato la società e che mangia con voracità tutti gli
spazi di libertà rimasti.
Al Qaeda? Al Qaeda è sì una struttura terroristica, come
in altri paesi del mondo, come Irlanda, Spagna e in passato Italia, che aiuta
la percezione del binomio di cui sopra, ma appare piuttosto chiaro che se il
radicalismo come lo conosciamo non facesse da legame con alcuni strati sociali
delle realtà arabe, il binomio, appunto, non avrebbe mai avuto luogo.
E se i media poi,
arabi e occidentali avessero avuto il buongusto di mandare in onda anche
qualche manifestazione di arabi liberali e di società civile contro il
terrorismo e il radicalismo, e se
gli intellettuali ci avessero messo la faccia, come, fra i tanti, Tahar Djaout,
Mohamed Boukhobza e la
regista Hafsa Zinai Koudil in Algeria, certo le cose
sarebbero andate in maniera totalmente diversa. Ma si sa, soprattutto in
certi frangenti, le tv satellitari preferiscono mandare in onda telepredicatori
che torturano le figlie di cinque anni con la frusta e le uccidono con il ferro
da stiro arroventato o salafiti mascherati da moderati mentre inneggiano alla
distruzione delle Piramidi in Egitto come fu per i Buddha in Afghanistan.
Mi pare, inoltre, che alcuni commentatori di solito attenti a fatti e atti del mondo arabo,
dimentichino − spero non colpevolmente − il ruolo dei sauditi e dei qatariti
nella vicenda dell’estremismo di matrice islamica. Un ruolo non secondario,
posso dire, che ha portato alla ribalta ciò che i terroristi amano di più: fondi senza freno per realizzare una jihad
coi fiocchi a danno dei musulmani moderati e di tutti coloro che non si piegano.
L’undici settembre, dobbiamo essere chiari su questo, non ha certo cambiato le
cose, forse, nella considerazione di certi movimenti ha solo accelerato i
processi di formazione di un certo pensiero.
La paura del
radicalismo non si placa con due pacche sulle spalle o con un libricino
vademecum sull’islamofobia. Al di là del Mediterraneo c’è molto di più di
quanto qualcuno non pensi, pur venendo da quel mondo. Prendiamo esempio, se non dai grandi del passato,
almeno dalle bambine che hanno reagito contro l’estremismo rischiando la vita:
come Malala…
Si tratta di Malala Yousufzai,
la ragazza Pakistana
che, lo scorso 9 ottobre, è stata gravemente ferita da un commando di talebani:
nel 2009 aveva scritto un diario della valle di Swat (pubblicato sulla Bbc in
lingua urdu) nel quale denunciava la violenze e i soprusi dei talebani, che
all’epoca avevano il controllo dell’area, e difeso il diritto delle ragazzine
di andare a scuola.
Ricoverata in
Inghilterra e sottoposta a un delicato intervento chirurgico, adesso sta meglio
e, probabilmente, non porterà conseguenze della sua terribile avventura.
Una petizione suChange.org, sottoscritta da molti intellettuali – tra i quali il nostro Nobel,
Dario Fo - chiede che Malala Yousufzai venga candidata al Premio Nobel per la
Pace.
Nata a Stettat, in
Marocco il 5 febbraio 1961, è cittadina italiana dal 1981. Giornalista è stata
caporedattore del mensile in lingua araba Al Maghrebiya e opinionista per
“Avvenire”.
Presidente
dell’Associazione Acmid-Donna Onlus (Associazione delle Donne Marocchine in
Italia) dal 1997 è promotrice del Centro Culturale “Averroè” di Roma per la
diffusione delle culture del Mediterraneo. Siede in Parlamento come deputato
del PdL e, dal 2007, fa parte della Commissione “Salute e immigrazione”,
istituita presso il Ministero della Salute.
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