12 novembre 2012

India, povertà, investimenti e beneficenza

Su Internazionale n. 943 possiamo leggere un lungo, denso e interessante articolo della scrittrice indiana Arundhati Roy.
Madre di religione cristiana e padre bengalese di religione induista, la scrittrice, dopo l’infanzia nel Kerala, vive in una baraccopoli di Dehli, dove pure riesce a studiare. Raggiunge la notorietà internazionale con la pubblicazione, nel 1997, del romanzo “Il Dio delle piccole cose”, che rimane l’unico da lei scritto, avendo poi indirizzato la propria azione verso tematiche politiche  e sociali ed è considerata oggi una delle “figure guida del movimento mondiale anti-globalizzazione e nei suoi testi la critica al neo-imperialismo ed al neoliberismo è forte e veemente” (wikipedia)
Possiamo dividere il lungo articolo in tre parti.
Nella prima abbiamo una descrizione dell’attuale situazione dell’India, dominata da poche famiglie di industriali che possiedono ricchezze difficilmente misurabili anche con i parametri occidentali.
Nella seconda, seguono alcune informazioni – davvero spiazzanti se raffrontate alle dimensioni cui siamo abituati in Italia - circa i movimenti di capitale, gli investimenti e le realizzazioni che si stanno per realizzare: “a gennaio 2011, nel Mahatma (Gandhi) Mandir, il primo ministro del Gujarat, Narendra Modi, ha presieduto un convegno di 10.000 imprenditori internazionali di 100 paesi. Secondo i resoconti dei media, si sono impegnati a investire 450 miliardi di dollari nel Gujarat”.
Quasi a contraltare dell’idea che sia ormai la Cina la “fabbrica del mondo”, ecco anche la notizia del “Corridoio Industriale Delhi Mumbai (DMIC), un corridoio industriale lungo 1.500 chilometri e largo 300, con nove mega zone industriali, una linea di trasporto merci ad alta velocità, tre porti marittimi e sei aeroporti, un’intersezione a sei corsie di una superstrada gratuita e una centrale elettrica da 4.000 MW”.
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A rendere meglio conto di tale impresa, Arundhati Roy riporta altri dati: “Il DMIC è un’impresa associata tra i governi dell’India e del Giappone e i loro rispettivi partner industriali, ed è stato proposto dal McKinsey Global Institute. Il sito web del DMIC afferma che circa 180 milioni di persone saranno “interessate” dal progetto. Esattamente come, non lo dice. Esso prevede la costruzione di numerose città nuove e stima che la popolazione della regione crescerà dagli attuali 231 milioni a 314 milioni entro il 2019. Cioè in sette anni. Quando è stata l’ultima volta che uno stato, un despota o un dittatore ha attuato un trasferimento di popolazione di milioni di persone? E’ possibile che sia un processo pacifico?
L’ultima parte del lungo saggio è dedicata alle Fondazioni e al ruolo che hanno avuto e ancora hanno a livello mondiale, quali emanazione e longa manus del capitalismo.
Arrivati agli anni ’20 il capitalismo statunitense cominciò a guardare all’estero, per materie prime e mercati oltremare. Le fondazioni cominciarono a formulare l’idea del governo mondiale delle imprese. Nel 1924 le fondazioni Rockfeller e Carnegie crearono insieme quello che oggi è il più potente gruppo di pressione del mondo in politica estera, il Consiglio per le Relazioni con l’Estero (CFR) che successivamente arrivò ad essere finanziato anche dalla Fondazione Ford.
…Tutti gli undici presidenti della Banca Mondiale dal 1946 – uomini che si presentavano come missionari dei poveri – sono stati membri del CFR.
A Bretton Woods la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) decisero che il dollaro doveva essere la moneta di riserva del mondo e che al fine di promuovere la penetrazione del capitale globale sarebbe stato necessarie rendere universali le prassi e gli standard in un mercato aperto. E’ a questo fine che hanno speso una grande quantità di denaro per promuovere il Buon Governo (fintanto che sono loro a tirare le redini), il concetto di Stato di Diritto (a condizione di aver voce in capitolo nella formulazione delle leggi)
“…Considerato che la Banca Mondiale ha più o meno diretto le politiche economiche del Terzo Mondo, coartando paese dopo paese e spalancandone a forza i mercati alla finanza globale, si deve ammettere che la filantropia industriale si è rivelata essere l’affare più visionario di tutti i tempi.
Le fondazioni sovvenzionate dall’industria amministrano, contrattano o canalizzano il proprio potere e piazzano i propri pezzi sulla scacchiera attraverso un sistema di club e di gruppi di esperti d’élite, i cui membri si sovrappongono ed entrano ed escono attraverso porte girevoli.…Contrariamente alla varie teorie del complotto in circolazione, particolarmente tra i gruppi di sinistra, non c’è nulla di segreto, satanico o di tipo fra massonico in questa organizzazione. Non è diversa dal modo in cui le imprese utilizzano scatole vuote e conti all’estero per amministrare i propri quattrini, con l’eccezione che la moneta qui è il potere, non il denaro.”
Negli anni ’50 le fondazioni Rockefeller e Ford, finanziando numerose ONG e istituzioni internazionali di istruzione, cominciarono a operare quasi da prolungamenti del governo USA.
E non manca il duro atto d’accusa verso le elité locali, troppo inclini ad assecondare il potere prima coloniale e ora economico.
“Come tutti i buoni imperialisti, i filantropoidi si propongono il compito di creare e addestrare organici internazionali che credano che il capitalismo e, per estensione, l’egemonia degli Stati Uniti, siano nel loro interesse. E che pertanto aiutino ad amministrare il Governo Globale delle Imprese nei modi in cui le élite native hanno sempre servito il colonialismo. Così è iniziata la scorreria delle fondazioni nell’istruzione e nelle arti, che diventano la loro terza sfera d’influenza, dopo la politica economica interna ed estera. Hanno speso (e continuano a spendere) milioni di dollari in istituzioni accademiche e in pedagogia”.
A conclusione di questo sunto, riportiamo un altro passaggio dello scritto di Arundhati Roy, in cui si osserva che “quando il FMI ha messo in atto l’Aggiustamento Strutturale, una imposizione ai governi di tagliare la spesa pubblica per la sanità, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia e lo sviluppo, le ONG hanno fatto il loro ingresso. La Privatizzazione di Tutto ha anche significato ONG Dappertutto. Con la scomparsa dei posti di lavoro e delle fonti di sussistenza, le ONG sono diventate una fonte importante di occupazione, anche per quelli che le vedono per quello che sono. E certamente non sono tutte cattive. Tra i milioni di ONG alcune fanno un lavoro notevole, radicale, e sarebbe una parodia incatramare tutte le ONG con lo stesso pennello. Tuttavia le ONG delle imprese o sovvenzionate dalle Fondazioni sono la via della finanza globale all’investimento nei movimenti di resistenza…”
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