14 dicembre 2012

USA: autosufficienza energetica?

 -Qualcosa di nuovo sembra all’orizzonte in campo energetico: nel giro di pochi anni, gli Stati Uniti, grazie allo SHALE GAS, il gas delle scisti argillose, dovrebbero giungere alla tanto sognata autosufficienza energetica, con tutto quel che ne potrebbe conseguire in ambito geo-politico. In pochi anni, la superpotenza americana ha aumentato di molto il proprio grado di autosufficienza energetica: nel 2008 producevano il 74% dell’energia consumata; quest’anno è prevista una produzione interna pari all’84% del fabbisogno.


Non sembra lontano il tempo in cui gli USA non avranno alcuna necessità di utilizzare il petrolio pche viene estratto in Medio Oriente… e ci sarà senza dubbio una minore necessità di esportare la democrazia in questo angolo del pianeta!
Grazie ai biocarburanti e allo shale gas, gli USA produrranno quest’anno l’equivalente di 11,4 milioni di barili/giorno di idrocarburi, che è l’equivalente della produzione petrolifera dell’Arabia Saudita e per il 2014 sono destinati a diventare il primo produttore mondiale in assoluto di idrocarburi. Tutto questo si è tradotto in una rapida e forte diminuzione del costo dell’energia negli USA, tanto che si assiste a un ritorno in patria delle imprese che avevano de localizzato in Europa e in Oriente. Imponenti gli investimenti negli impianti chimici: vicino a Pittsburgh la Shell sta per aprire un nuovo, imponente impianto per la produzione di etano; la Dow Chemical sta chiudendo alcuni impianti in Belgio, Olanda, Spagna, Regno Unito e investe nella produzione di propilene in Texas. In tutto, si tratta di 30 miliardi di dollari di investimenti nella produzione di etilene e fertilizzanti e la competitività assicurata dall’uso dello shale gas ha invertito il declino dell’industria chimica, della plastica, dell’alluminio, della metallurgia negli USA (tanto che la BASF tedesca ha dovuto ammettere che non è possibile competere con i costi americani odierni).
Interessante cogliere i motivi che non hanno permesso la valorizzazione dello shale gas solo in altre parti del mondo, visto che gli USA sono solo il terzo potenziale produttore, preceduto da Cina e Russia e buone riserve di questo gas sono registrate anche in Europa.
La ragione risiede in due diversi aspetti:
- valutazione del rischio ecologico;
- regime della proprietà del sottosuolo.
Per il primo, va detto che solo negli USA, al momento, è consentita la tecnica di trivellazione del “fraking”, che consiste nell’iniezione di acqua ad alta pressione – mista a reagenti chimici – negli starti profondi, in modo da provocare crepe e spaccature negli strati rocciosi da cui fuoriesce lo shale gas.
Per quanto riguarda il regime della proprietà del suolo, negli Stati Uniti la proprietà privata si estende anche al sottosuolo del terreno, mentre in Europa quel che sta sotto la superficie è di proprietà dello Stato e per essere sfruttato è necessario ottenere permessi e autorizzazioni.
La proprietà privata del sottosuolo e delle risorse che vi sono custodite, h spinto, negli USA, anche piccoli operatori economici a procedere nelle indagini e nelle prospezioni, consentendo così al raccolta di una massa ingente di dati informativi che hanno aperto la strada agli interventi dei colossi dell’industria energetica, che possono fronteggiare gli investimenti colossali richiesti.
Un’approfondita analisi dei nuovi scenari è stata condotta nello studio “Shale Gas and U.S. National Security” condotto dal Baker Intitute for Public Polity della Rice University finanziato dal Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti.
Da questo studio emerge che nel prossimi anni lo “shale gas” permetterà agli Stati Uniti di limitare il fabbisogno annuale di importazione di gas naturale liquefatto (LNG) permettendo, in questo modo, all’Europa l’accesso a nuove e più importanti risorse di LNG (fino ad ora dirette verso gli USA), diminuendo notevolmente il potere della Russia e dell’Iran nel settore energetico.

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