-Qualcosa di nuovo sembra
all’orizzonte in campo energetico: nel giro di pochi anni, gli Stati Uniti,
grazie allo SHALE GAS, il gas delle
scisti argillose, dovrebbero giungere alla tanto sognata autosufficienza
energetica, con tutto quel che ne potrebbe conseguire in ambito geo-politico. In pochi anni, la superpotenza
americana ha aumentato di molto il proprio grado di autosufficienza energetica:
nel 2008 producevano il 74% dell’energia consumata; quest’anno è prevista una
produzione interna pari all’84% del fabbisogno.
Non sembra lontano il tempo in cui
gli USA non avranno alcuna necessità di utilizzare il petrolio pche viene
estratto in Medio Oriente… e ci sarà senza dubbio una minore necessità di
esportare la democrazia in questo angolo del pianeta!
Grazie ai biocarburanti e allo shale
gas, gli USA produrranno quest’anno l’equivalente di 11,4 milioni di
barili/giorno di idrocarburi, che è l’equivalente della produzione petrolifera
dell’Arabia Saudita e per il 2014 sono destinati a diventare il primo produttore
mondiale in assoluto di idrocarburi. Tutto questo si è tradotto in una
rapida e forte diminuzione del costo dell’energia negli USA, tanto che si
assiste a un ritorno in patria delle imprese che avevano de localizzato in
Europa e in Oriente. Imponenti gli investimenti negli impianti chimici: vicino
a Pittsburgh la Shell sta per aprire un nuovo, imponente impianto per la
produzione di etano; la
Dow Chemical sta
chiudendo alcuni impianti in Belgio, Olanda, Spagna, Regno Unito e investe
nella produzione di propilene in Texas. In tutto, si tratta di 30 miliardi di
dollari di investimenti nella produzione di etilene e fertilizzanti e la
competitività assicurata dall’uso dello shale gas ha invertito il declino
dell’industria chimica, della plastica, dell’alluminio, della metallurgia negli
USA (tanto che la BASF tedesca ha dovuto ammettere che non è possibile
competere con i costi americani odierni).
Interessante cogliere i motivi che
non hanno permesso la valorizzazione dello shale gas solo in altre parti del mondo,
visto che gli USA sono solo il terzo potenziale produttore, preceduto da Cina e Russia e buone riserve di questo gas sono
registrate anche in Europa.
La ragione risiede in due diversi
aspetti:
- valutazione del rischio ecologico;
- regime della proprietà del
sottosuolo.
Per il primo, va detto che solo
negli USA, al momento, è consentita la tecnica di trivellazione del “fraking”,
che consiste nell’iniezione di acqua ad alta pressione – mista a reagenti
chimici – negli starti profondi, in modo da provocare crepe e spaccature negli
strati rocciosi da cui fuoriesce lo shale gas.
Per quanto riguarda il regime della
proprietà del suolo, negli Stati Uniti la proprietà privata si estende anche al
sottosuolo del terreno, mentre in Europa quel che sta sotto la superficie è di
proprietà dello Stato e per essere sfruttato è necessario ottenere permessi e
autorizzazioni.
La proprietà privata del sottosuolo
e delle risorse che vi sono custodite, h spinto, negli USA, anche piccoli
operatori economici a procedere nelle indagini e nelle prospezioni, consentendo
così al raccolta di una massa ingente di dati informativi che hanno aperto la
strada agli interventi dei colossi dell’industria energetica, che possono
fronteggiare gli investimenti colossali richiesti.
Un’approfondita analisi dei nuovi
scenari è stata condotta nello studio “Shale Gas and U.S. National Security”
condotto dal Baker Intitute for Public Polity della Rice University finanziato
dal Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti.
Da questo studio
emerge che nel prossimi anni lo “shale gas” permetterà agli Stati Uniti di
limitare il fabbisogno annuale di importazione di gas naturale liquefatto (LNG)
permettendo, in questo modo, all’Europa l’accesso a nuove e più importanti
risorse di LNG (fino ad ora dirette verso gli USA), diminuendo notevolmente il
potere della Russia e dell’Iran nel settore energetico.
PER APPROFONDIRE:
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