--Se Federico Rampini - giornalista sensibili e accorto, a proprio agio
quando ci presenta Cina e India e
che respira aria di casa facendo jogging al Central
Park di N.Y. – e il Messaggero di
Sant’Antonio trattano nello stesso momento, lo stesso argomento, vuol dire
che l’argomento in questione ha una certa rilevanza. Questo accade con il dossier del mese di ottobre, che il Messaggero di
Sant’Antonio intitola “Vecchiaia: unastagione tutta da vivere” e l’ultimo
libro di Federico Rampini, “Voi avetegli orologi. Noi abbiamo il tempo”.
Il tema è quello delle “pantere
grigie”, dei figli del baby boom, nati nel ventennio 1945 – 1965, che stanno
entrando in quella fase della vita in cui – anche grazie al prolungarsi
dell’aspettativa di vita e delle migliorate condizioni di salute – si intravede
la fine della fase attiva, del periodo lavorativo, si vede vicina o si vede
arrivare l’età della pensione, ma ci si sente (e si è) ancora prestanti e
benestanti per accettare di fermarsi.
Certo è che quella dei baby boomer è
una generazione davvero ingombrante, riconosce Rampini, perché “Guadagniamo troppo,
godiamo di tutele anacronistiche, e quando andremo in pensione faremo sballare
gli equilibri della previdenza. Per i trentenni e i ventenni, invece, siamo
"il tappo". Ci aggrappiamo
ai nostri posti, non li facciamo entrare.”
Nel dopoguerra, prosegue Rampini, “Quella combinazione di ottimismo dei nostri padri, fiducia nel
futuro e fecondità delle nostre mamme ha fatto di noi una generazione unica
nella storia umana. Unica per il suo peso percentuale sulla popolazione,
ingigantito dal fatto che noi di figli ne abbiamo fatti meno. Dopo il baby boom
arrivò la
denatalità. Dietro di
noi ci sono le generazioni sottili.”
E così i giovani dei mitici Sessanta rischiamo di diventare un
problema i propri stessi figli, ora che si trovano loro a essere dalla parte
dei “vecchi”.
Ma a ben guardare, prosegue Rampini, possiamo osservare come
“Grazie a noi, l’umanità ha a
disposizione centinaia di milioni di anni di vita in più (è la speranza di vita
«allungata» di ciascuno moltiplicata per il numero di noi della leva ’45-65). E
di tutta questa vita a disposizione l’umanità non sa bene che farsene. Non è
preparata. Non eravamo previsti. Si parla di questa nostra inusitata
sopravvivenza quasi come di una sciagura annunciata, un disastro al
rallentatore. Possibile?”
Una prospettiva diversa per guardare a questa nuova
situazione e ci racconta quel che avviene negli USA, sempre un po’ in anticipo
sui nostri tempi e sulle nostre reazioni: “Qui in America sono circondato da coetanei
che si stanno ponendo questo problema, si sforzano di trovare la risposta
migliore, e li vedo impegnati a prepararsi al «dopo»”
Tra i “nuovi anziani” i grandi musei
newyorchesi “reclutano i volontari che
fanno da guida ai visitatori per introdurli alla scoperta di alcune delle
collezioni d’arte più visitate in assoluto” preparandoli con adeguati corsi
di formazione. Il ricorso al volontariato dei «giovani anziani»
diventa quindi “una soluzione preziosa
perché riduce i costi e consente di offrire questo servizio a un numero
crescente di visitatori dal mondo intero”.
E questo vale anche per i mestieri
più tradizionali, che richiedono competenze difficili da trovare tra i giovani:
“Qui a New York chi ha fatto l’operaio o
il muratore per una vita si scopre portatore di una «cultura manuale» che tanti
giovani vogliono conquistare, e per la quale i bravi maestri in circolazione
scarseggiano. Non a caso, l’insegnamento è un altro sbocco per la nostra
prossima vita, ovviamente non per sostituire i professori di ruolo, ma per
integrarli, affiancarli, aiutarli nel rispondere a domande nuove.”
In buona sostanza, possiamo dire che
proprio la generazione che aveva fatto del giovanilismo la propria bandiera, si
trova ora a rivalutare l’età dei “capelli bianchi”, quasi a chiudere una
parentesi storica e ritornare a quello che era il valore dell’anziano nelle
società e nelle culture tradizionali.
Ci ricorda, a questo proposito, il
dossier del Messaggero di Sant’Antonio che “Nell’antichità la vecchiaia era ritenuta,
dal punto di vista assiologico, valoriale, superiore alla giovinezza, in quanto
gli anziani erano considerati depositari di saggezza. Per millenni è stata una
condizione preziosa e ambita, dal momento che a pochi capitava questo felice
destino, e si riteneva che
bisognasse prepararsi per viverla adeguatamente; chi la raggiungeva era
rispettato e stimato dalla collettività…
Poi, in Occidente, nell’arco di due-tre generazioni, tutto è cambiato:
l’aspettativa di vita è aumentata con una progressione significativa e ormai
diventare anziani è un destino comune, non più un tratto di distinzione”.
Resta il fatto che, oggi “i
capelli bianchi e la forma fisica e intellettuale possono convivere
armoniosamente per un decennio o anche più.”
Da qui, sempre gli Americani, che
sono rapidi nel cogliere le novità, hanno coniato un nuovo termine, per
indicare questa nuova fase della vita, chiamandola «seconda età adulta».
Una nuova realtà, di cui prendere
atto e che dobbiamo far diventare una risorsa preziosa per gli anni a venire.
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