20 dicembre 2012

Baby boomer e "seconda età adulta"

--Se Federico Rampini - giornalista sensibili e accorto, a proprio agio quando ci presenta Cina e India e che respira aria di casa facendo jogging al Central Park di N.Y. – e il Messaggero di Sant’Antonio trattano nello stesso momento, lo stesso argomento, vuol dire che l’argomento in questione ha una certa rilevanza. Questo accade con il dossier  del mese di ottobre, che il Messaggero di Sant’Antonio intitola “Vecchiaia: unastagione tutta da vivere” e  l’ultimo libro di Federico Rampini, “Voi avetegli orologi. Noi abbiamo il tempo”.

Il tema è quello delle “pantere grigie”, dei figli del baby boom, nati nel ventennio 1945 – 1965, che stanno entrando in quella fase della vita in cui – anche grazie al prolungarsi dell’aspettativa di vita e delle migliorate condizioni di salute – si intravede la fine della fase attiva, del periodo lavorativo, si vede vicina o si vede arrivare l’età della pensione, ma ci si sente (e si è) ancora prestanti e benestanti per accettare di fermarsi.

Certo è che quella dei baby boomer è una generazione davvero ingombrante, riconosce Rampini, perché Guadagniamo troppo, godiamo di tutele anacronistiche, e quando andremo in pensione faremo sballare gli equilibri della previdenza. Per i trentenni e i ventenni, invece, siamo "il tappo". Ci aggrappiamo ai nostri posti, non li facciamo entrare.”

Nel dopoguerra, prosegue Rampini, “Quella combinazione di ottimismo dei nostri padri, fiducia nel futuro e fecondità delle nostre mamme ha fatto di noi una generazione unica nella storia umana. Unica per il suo peso percentuale sulla popolazione, ingigantito dal fatto che noi di figli ne abbiamo fatti meno. Dopo il baby boom arrivò la denatalità.  Dietro di noi ci sono le generazioni sottili.”

E così i giovani dei mitici Sessanta rischiamo di diventare un problema i propri stessi figli, ora che si trovano loro a essere dalla parte dei “vecchi”.

Ma a ben guardare, prosegue Rampini, possiamo osservare come “Grazie a noi, l’umanità ha a disposizione centinaia di milioni di anni di vita in più (è la speranza di vita «allungata» di ciascuno moltiplicata per il numero di noi della leva ’45-65). E di tutta questa vita a disposizione l’umanità non sa bene che farsene. Non è preparata. Non eravamo previsti. Si parla di questa nostra inusitata sopravvivenza quasi come di una sciagura annunciata, un disastro al rallentatore. Possibile?”

Una prospettiva diversa per guardare a questa nuova situazione e ci racconta quel che avviene negli USA, sempre un po’ in anticipo sui nostri tempi e sulle nostre reazioni: “Qui in America sono circondato da coetanei che si stanno ponendo questo problema, si sforzano di trovare la risposta migliore, e li vedo impegnati a prepararsi al «dopo»”

Tra i “nuovi anziani” i grandi musei newyorchesi “reclutano i volontari che fanno da guida ai visitatori per introdurli alla scoperta di alcune delle collezioni d’arte più visitate in assoluto” preparandoli con adeguati corsi di formazione.  Il ricorso al volontariato dei «giovani anziani» diventa quindi “una soluzione preziosa perché riduce i costi e consente di offrire questo servizio a un numero crescente di visitatori dal mondo intero”.

E questo vale anche per i mestieri più tradizionali, che richiedono competenze difficili da trovare tra i giovani: “Qui a New York chi ha fatto l’operaio o il muratore per una vita si scopre portatore di una «cultura manuale» che tanti giovani vogliono conquistare, e per la quale i bravi maestri in circolazione scarseggiano. Non a caso, l’insegnamento è un altro sbocco per la nostra prossima vita, ovviamente non per sostituire i professori di ruolo, ma per integrarli, affiancarli, aiutarli nel rispondere a domande nuove.”

In buona sostanza, possiamo dire che proprio la generazione che aveva fatto del giovanilismo la propria bandiera, si trova ora a rivalutare l’età dei “capelli bianchi”, quasi a chiudere una parentesi storica e ritornare a quello che era il valore dell’anziano nelle società e nelle culture tradizionali.

Ci ricorda, a questo proposito, il dossier del Messaggero di Sant’Antonio che “Nell’antichità la vecchiaia era ritenuta, dal punto di vista assiologico, valoriale, superiore alla giovinezza, in quanto gli anziani erano considerati depositari di saggezza. Per millenni è stata una condizione preziosa e ambita, dal momento che a pochi capitava questo felice destino, e si riteneva che bisognasse prepararsi per viverla adeguatamente; chi la raggiungeva era rispettato e stimato dalla collettività…

Poi, in Occidente, nell’arco di due-tre generazioni, tutto è cambiato: l’aspettativa di vita è aumentata con una progressione significativa e ormai diventare anziani è un destino comune, non più un tratto di distinzione”.

Resta il fatto che, oggi “i capelli bianchi e la forma fisica e intellettuale possono convivere armoniosamente per un decennio o anche più.”

Da qui, sempre gli Americani, che sono rapidi nel cogliere le novità, hanno coniato un nuovo termine, per indicare questa nuova fase della vita, chiamandola  «seconda età adulta».

Una nuova realtà, di cui prendere atto e che dobbiamo far diventare una risorsa preziosa per gli anni a venire.

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