3 dicembre 2012

come leggono i nostri ragazzi

-Ritorna ancora alla nostra attenzione il tema dei cosiddetti “nativi digitali”, con tutto ciò che li differenzia da chi digitale non è e con le conseguenti difficoltà interpretative da parte degli adulti.  Non si tratta di dare giudizi, quanto, piuttosto, di prendere coscienza di una situazione oggettivamente diversa: i nostra ragazzi crescono (sarebbe meglio dire “sviluppano il loro modo di pensare”) con modalità diverse dalle nsotre e diverse da quelle di tutti gli uomini che li hanno preceduti. Il loro bagaglio di esperienze è improntato alla velocità e al “multitasking”, con una massa immane di informazioni, testuali e iconografiche: ovvio che non possano/sappiano leggere con le stesse modalità dei loro genitori, dei loro insegnanti, dei loro nonni…
Il che non significa che i nostri ragazzi debbano per forza di cose essere incapaci alla lettura meditata e approfondita. SI tratta, semmai, di essere consapevoli che i nostri ragazzi usano il cervello in modo un poco diverso dal nostro.
Interessante, a questo proposito, un articolo di Cristina Taglietti, pubblicato sul supplemento “La lettura” del Corriera della Sera e intitolato “Spegnete i tablet. I ragazzi non sanno leggere”.
A parte il tono negativo (forse più opportuno dire che i ragazzi leggono “diversamente” rispetto a un tempo, merita riportare qui di seguito ampi stralci di questo contributo.
“…Uno degli allarmi che arriva da insegnanti e presidi riguarda proprio la capacità di lettura degli studenti delle scuole superiori spesso compromessa da un’abitudine a una comunicazione veloce, per immagini. Ragazzi che non sanno più ascoltare, leggere, scrivere ma anche parlare in modo corretto, dotati di un vocabolario ridotto e strutture sintattiche elementari, anche se magari non è Internet che ci rende stupidi per citare il titolo (con punto interrogativo) di un saggio di Nicholas Carr. «È un problema segnalato da molti, non soltanto insegnanti e non soltanto in Italia — dice Duccio Demetrio, docente di Filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano —. La deconcentrazione continua è una vera patologia: i ragazzi sono sottoposti a ripetuti attraversamenti di altri linguaggi».
Osserva il linguista Raffaele Simone che “si è passati da una concezione classica della lettura come la definisce Georges Steiner in cui è necessario silenzio, solitudine, continuità a quella attuale che si basa sull’interruzione e sull’impazienza. La lettura è diventata un’attività frammentaria, come la scrittura. I giovani fanno le loro ricerche in Internet: prevalgono il copia-incolla e il leggi e salta». Il fatto è che email, forum, sms, Facebook, Twitter contengono un’abbondanza di testi non argomentativi, sconnessi gli uni dagli altri per cui, dice Simone, «la scrittura diventa l’espressione di un pensiero simultaneo, non una pratica controllata».
Il fatto è che un processo come questo non è reversibile: «Chi vince ha ragione, quindi siano noi a doverci trasformare. Il problema è che la scuola è il luogo della conservazione, quindi intrinsecamente incapace di rispondere alla provocazione costituita dalla mediasfera. Non può precedere il cambiamento delle conoscenze, essendo il suo ruolo piuttosto quello di seguirlo».
Il rischio è che i tentativi che si fanno vadano nel senso di un’accoglienza superficiale e perciò sostanzialmente inutile, se non dannosa. «L’enfasi con cui si accoglie l’introduzione delle nuove tecnologie nelle classi — continua Simone — significa che ci stiamo arrendendo. Mentre sarebbe necessaria una seria riflessione e pensare a progressivi cambiamenti nella didattica».
Per Duccio Demetrio servirebbero anche forme diverse di approcci ai testi: «Nelle scuole superiori le occasioni per avvicinarsi alla lettura vengono affidate ai programmi tradizionali che oltretutto, per quanto riguarda la letteratura, non comprendono il mondo contemporaneo, quello che potrebbe interessare di più gli studenti. Perché non far leggere Ammaniti o la Tamaro o anche Volo? Perché non studiare iniziative semplici che coinvolgano gli studenti e i testi in modo attivo?”
… La lettura, secondo Demetrio, appare in contrasto con quelli che sembrano i bisogni degli adolescenti di oggi: «Il testo complesso viene rifiutato perché si legge in modo soltanto funzionale, per dare una risposta rapida. La lettura richiede solitudine, silenzio, ritorno alla propria intimità mentre la caratteristica delle nuove generazioni sembra invece il bisogno di relazionalità, di confronto pubblico».
Martino Sacchi, docente di storia e filosofia al liceo scientifico Giordano Bruno di Melzo (Milano), dipinge una situazione preoccupante:  …«C’è un problema a monte, di comprensione lessicale prima ancora che di comprensione intratestuale, di lettura profonda. I ragazzi non conoscono il significato di parole anche relativamente semplici. Leggendo un brano tratto dal Fedro di Platone sul mito del carro alato mi sono sentito chiedere che cosa significa “destriero”. Un’altra volta che cosa significa “frontespizio”. Uno studente di quinta liceo non riesce a risolvere un problema dove si parla del profilo di una finestra perché lo confonde con lo spessore. E teniamo presente che il nostro è un liceo dove c’è un processo di autoselezione, ci sono ragazzi motivati che vengono da famiglie motivate».
Il problema secondo Sacchi è radicale: «Si tratta della sedimentazione del lessico, della sintassi, dell’ordine e della formattazione del testo che nasce a partire dalle elementari. È essenziale ricostruire la filiera educativa, dalla scuola primaria all’università. Noi riceviamo lelamentele dei professori universitari e a nostra volta le riversiamo sulla scuola dell’obbligo dove, però, come sappiamo, i docenti si sono trovati di fonte a problemi complessi legati soprattutto alla mancanza di fondi. Negli anni Sessanta la scuola elementare doveva insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Adesso deve insegnare molte altre cose e le basi si perdono».
Ugo Cornia, scrittore modenese, ha insegnato per 15 anni negli istituti professionali (il suo nuovo romanzo, edito da Feltrinelli, si intitola appunto Il professionale): «Ci tengo subito a dire una cosa: so che queste scuole hanno fama di posti un po’ degradati, quasi pericolosi, la mia esperienza, invece, da questo punto di vista, è stata estremamente positiva». Certo, il professionale è un osservatorio sociale particolare, dove il problema della lettura profonda passa quasi in secondo piano. «Credo che qui in Emilia, zona ricca che assorbe facilmente posti di lavoro, almeno il 70 per cento degli studenti siano extracomunitari. Spesso ci troviamo con ragazzi che sono in Italia da due o tre anni, a volte arrivano dopo tre mesi che la scuola è cominciata: se gli chiedi “Come va?” ti rispondono “Sì”.  In realtà ho sempre trovato situazioni diverse: magari c’era metà classe che non capiva emetà che seguiva benissimo. Io so che se leggiamo un brano in classe e chiedo il significato di alcune parole posso avere le risposte più assurde. C’è chi copia pari pari brani da Internet e nega di averlo fatto. Magari dentro c’è la parola ermeneutica, io chiedo che cosa significa e naturalmente nessuno lo sa».
Quando si parla di una forma di incapacità di lettura, non si parla soltanto di testi letterari. «La riflessione sul linguaggio riguarda anche testi di altro tipo, manuali eccetera», dice la linguista Grazia Basile che con Anna Rosa Guerriero e Sergio Lubello ha scritto Competenze linguistiche per l’accesso all’università: «Ci siamo trovati in facoltà con ragazzi che si sono dimenticati che cos’è un soggetto, che hanno scarsa dimestichezza con i testi, di qualunque tipo. È vero, molte cose sono cambiate, c’è una velocità nella comunicazione che vent’anni fa non c’era, i nuovi linguaggi potrebbero addirittura favorirli. Naturalmente non si può generalizzare: tutti sappiamo che ci sono ragazzi capaci di grandi riflessioni e con alte competenze».

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