-La situazione delle carceri italiane
risulta precaria e insostenibile ormai da tanto tempo. Di tanto in tanto si
parla o si ricorre all’amnistia per risolvere il sovraffollamento, dovuto
soprattutto alla elevatissima presenza di detenuti “in attesa di giudizio”
(pertanto, al momento, non riconosciuti ancora colpevoli) di strutture vecchie,
obsolete e, in parecchi casi, ormai fatiscenti.
Soffermandoci ai soli dati di fatto,
quanto a densità di carcerati in rapporto allo spazio, siamo i peggiori di
tutta Europa e siamo “fuori legge” rispetto alle normative comunitarie, tanto
che qualunque detenuto che ha denunciato l'Italia alla Corte
europea dei diritti umani ha avuto facilmente diritto al risarcimento.
Una situazione dai contorni tanto
drammatici da essere evidenziata anche da Papa Woytila, in occasione del suo
intervento al Parlamento italiano nel novembre di dieci anni fa.
Una problematica che “merita attenzione senza compromettere la
necessaria tutela della sicurezza dei cittadini” aveva detto allora il
Papa, perché “i detenuti vivono spesso in
condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della
pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non
mancherebbe di stimolarne l'impegno di personale ricupero in vista di un positivo
reinserimento nella società”.
Sono passati altri dieci anni, ma
poco o nulla è cambiato. Poche – e sempre quelle - le voci che si levano per
cercare una risposta e anche i campioni
della legalità presunta (i Grillo e i Di Pietro e i magistrati d'assalto)
sembrano non avere occhi e non prestano attenzione.
Parlare, ancora una volta, di amnistia
è difficile, perché si va a toccare la “pancia” dei cittadini onesti.
Va tuttavia considerato un insieme
di fattori che è sempre utile richiamare:
· i troppi detenuti in attesa di
giudizio attestano una giustizia che “non funziona” come dovrebbe;
· essere costretti a sopravvivere in
certe condizioni non favorisce certamente il recupero di chi è colpevole
(ricordiamo sempre che compito della pena non è la punizione, ma il recupero
del reo)
· non dare adeguate possibilità di
recupero significa – se vogliamo metterla anche sul venale – andare incontro a
costi sociali elevatissimi, perché chi esce da certe esperienze carcerarie
torna a delinquere.
Non dobbiamo mai dimenticare,
infine, che stiamo parlando di persone. Il carcere non è solo pena per il criminale
o per il presunto colpevole, è anche il luogo di una umanità gigantesca e
addolorata.
Bisogna valorizzare tutte le esperienze
che consentono a questa umanità di risollevarsi: per questo sono importanti le
offerte di lavoro vero dentro gli istituti di pena. E questo conviene anche in
termini di sicurezza per la gente fuori: chi ha imparato un lavoro e trova un
inserimento lavorativo una volta uscito dal carcere, ha molte meno probabilità
di delinquere nuovamente: in questi casi, le
“ricadute” sono sotto il 5 per cento, contro il 60-70 di chi tra i
reclusi non ha avuto questa possibilità.
Questo a dimostrazione che se c’è la
possibilità di risollevarsi, di andare verso una vita migliore, gli uomini possono cambiare, possono dare un
senso alla propria vita e questo si
diffonde poi come una speranza per tutti.
Una nota polemica, per finire, che
riprendiamo pari pari dal titolo di un articolo del (discusso) giornalista
Renato Farina: “Cosa direbbero gli animalisti se nelle
prigioni ci fossero i trichechi?”. Un titolo che rimanda a un tema che è
bene sempre richiamare, quando vediamo tante energie spese per tutelare il
“benessere animale”, con il rischio di dimenticare il “benessere degli uomini”.
Carcere di Canton
Mombello – BRESCIA
(Associazione Antigone - Dati sulle carceri italiane)
Il carcere di Canton Mombello
è una struttura di fine ‘800 la cui area detentiva è costituita da due raggi
simmetrici, nord – sud, con rotonda centrale dalla quale si accede alle due
sezioni di 4 piani (3+pianterreno) ciascuna.
Entrambe le sezioni sono di media sicurezza: i reati prevalenti sono
quelli contro il patrimonio, (furto e rapina) e dell’art. 73 del D.P.R.
309/1990 (Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti).
Le sezioni sono in stato di evidente fatiscenza. Intonaci scrostati e
ammalorati con tracce profonde e diffuse di umidità, infissi vetusti e
rugginosi che certo non garantiscono un gran riparo nella cattiva stagione e in
caso di pioggia battente.
Questa la condizione delle oltre 90 celle nelle quali i letti,
generalmente castelli da 3, non lasciano che spazi irrisori per i gesti della
quotidianità delle 520-530 persone che si ammassano.
Nelle celle più piccole, di circa 8-9 mq, vivono non meno di 5 detenuti;
nelle più grandi (celle doppie) i detenuti sono 8-9.
In tutte un WC alla turca che
una porta sottile isola dal resto del bagno in cui un lavello e un ripiano
integrano le funzioni di cucinino. Da sottolineare, in tanto degrado e angustia
di spazi, una rilevante novità: in tutte le celle, nello stesso vano del WC, si è riusciti a sistemare la doccia con acqua
calda, abbandonando quindi le docce comuni.
La situazione ai piani:
1° sud (piano terra): 54 detenuti in 11 celle;
2° sud: 66 detenuti in 11 celle;
3° sud: 70 detenuti in 11 celle;
4° sud: 78 detenuti in 12 celle.
Sezione nord (sostanzialmente simmetrica alla sud):
1° nord: 29 detenuti in 10 celle;
2° nord: 65 detenuti in 11 celle;
3° nord: 75 detenuti in 13 celle;
4° nord: 86 detenuti in 13 celle.
L’Istituto ha una capienza regolamentare di 208 posti. I detenuti
presenti al 31 agosto 2012 erano 513.
Gli imputati erano 315 (60,5% del totale) e i condannati definitivi 206
(39,5% del totale). Più precisamente, fra gli imputati
— 163 erano in attesa di 1° giudizio (31,3% del totale dei detenuti e
51,8% degli imputati);
— 72 appellanti;
— 54 ricorrenti.
Gli stranieri (circa 40 le nazionalità presenti) erano 309 (59,3%); 43 i giovani adulti (a
larga maggioranza stranieri).
I detenuti tossicodipendenti sono un numero che da anni oscilla tra 110
e 140.
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