28 dicembre 2012

nativi digitali puri e spuri

--Il dibattito recente su “nativi digitali” e “immigranti digitali” è di grande attualitrà e presenta non poche incertezza, stante la novità dell'argomento e le profonde implicazioni.
Tra le prime  e fondamentali domande, è il caso di chiedersi se esistono davvero i nativi digitali e chi sono e se il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età.
Un interessante iniziativa sul tema è stata organizzata dall’università di Milano Bicocca, con il convegno Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche, il 18 e il 19 novembre scorsi a Cinisello Balsamo (Milano). 
Ciò che emerge è che la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa, a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati. 
Interessante, quale commento dei risultati emersi, il commento di Paolo Ferri, che pubblichiamo di seguito, anche per la attenta disamina che ci propone.
I nativi sono una specie in via di apparizione, all’interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell’età e quindi dell’esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Dai dati del report di ricerca, emergono, infatti, tre tipologie differenti di nativi digitali, che segnano la transizione dall’analogico al digitale dei giovani nei paesi sviluppati:
 nativi digitali puri (tra 0 e 12 anni); 
 Millennials (tra 14 e 18 anni); 
 nativi digitali spuri (tra 18 e 25 anni). 
Per polarizzare e rendere più esplicativo il ragionamento prendiamo in considerazione le differenze tra i due “estremi”, i nativi digitali puri e quelli spuri. 

I nativi digitali spuri: gli studenti universitari 
Che significa definire nativi digitali spuri gli studenti universitari? In realtà, i nostri dati dicono che navigano tantissimo in Internet, quasi tutti utilizzando la banda larga. Usano sempre più il cellulare prevalentemente per sms, foto e video (poco per navigare in Internet), non guardano quasi più la televisione, sentono poco la radio e purtroppo continuano a non leggere libri (men che meno ebook), se non quelli che studiano. Tuttavia il loro uso del Web è ancora “ molto analogico”, molto Web 1.0. Sono loro stessi a definirsi utenti di base del Web e solo il 21 per cento si definisce un utente esperto. Gli studenti universitari navigano molto, usano i blog e leggono quelli dei loro amici, ma meno nel 2010 che nel 2009, a causa come vedremo del fenomeno Facebook. 
Per esempio, gli studenti della Bicocca conoscono e usano poco strumenti di condivisione 2.0 anche molto elementari come Flicker, ma fanno molte foto con il cellulare. E più in generale conoscono e usano meno di quanto ci si potrebbe aspettare le piattaforme 2.0, per esempio You Tube, soprattutto per caricare materiali originali e autoprodotti.
Leggermente migliore, ma si tratta di studenti universitari, l’utilizzo di Wikipedia e la creazione di contenuti su questa piattaforma bottom up di condivisione della conoscenza. 
Ma questi dati, che sono congruenti con quelli della ricerche internazionali, ci dicono che si è probabilmente sopravvalutata la capacità di utilizzo in chiave attiva e creativa dei vari tools della comunicazione digitale e del Web 2.0. Per esempio, questo si evidenzia ancora maggiormente rispetto alla mancata conoscenza da parte degli studenti universitari di strumenti come Slide Share, o Scribid, importanti per pubblicare e analizzare ricerche di prima mano, oppure Amazon, fondamentale per essere documentati sulla ricerca internazionale nei vai campi del sapere - e Amazon è pressoché sconosciuto. Neppure LinkedIn, fondamentale per raggiungere il mercato del lavoro, viene utilizzato. 
Analizzando questi dati, non ci si deve scoraggiare, quello che è successo è un errore di prospettiva, che ha portato a considerare questa tipologia di nativi come capaci di una cultura partecipativa che è, invece, propria solo dei più piccoli. I bambini nati dopo il 2000, cioè dopo la diffusione massiccia di Internet, la vera arma di costruzione di massa del nuovo millennio. Le corti tra i 18 e 25 anni hanno studiato in una scuola analogica, e hanno conosciuto la tecnologia tra gli 8 e 10 anni a casa o dagli amici, ma non l’hanno quasi mai usata in maniera nativa. Per esempio, dai nostri dati emerge in maniera chiara che Facebook, il fenomeno di questi due anni, è usato dai nativi digitali spuri in maniera “affluente” e “non proattiva”. Cioè Facebook ha fatto calare almeno nei 2/3 di questo gruppo la dimensione creativa e innovativa dell’uso del Web. Facebook è più immediato di un blog, e meno impegnativo di Wikipedia e YouTube. 
Che conclusioni si possono trarre da questo ragionamento? I nativi esistono ma non sono tutti uguali, la contaminazione analogica del gruppo tra i 18 e i 25 anni è ancora molto forte, lo è molto meno presso i Millennial e tende a scendere a zero nei nativi digitali puri. 

I nativi digitali puri
Se prendiamo in considerazione i bambini tra gli zero e il 12 anni, ci rendiamo conto che sono loro i veri nativi. Hanno un’esperienza diretta sempre più precoce degli schermi interattivi digitali - consolle per i videogiochi, cellulari, computer, iPod - così come della navigazione in Internet.
Henry Jenkins, già direttore del Comparative Media Studies Program presso il Mit di Boston e oggi Provost alla AnneNberg School of Communication della University of Southern California, definisce l’insieme di questi comportamenti come la nuova “ cultura partecipativa informale” dei nativi.
“ Lacultura partecipativa dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni digitali e prevede una qualche forma di mentorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti. All’interno di una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell’ importanza del loro contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli altri”, scrive Jenkins. I bambini tra gli 0 e 12 anni, sono, infatti, il primo gruppo veramente digitale. È ai loro comportamenti che dobbiamo guardare, più che ai comportamenti dei nativi digitali spuri, per capire il nostro futuro e per costruire un mondo che sia più accogliente per i nostri figli. Restano solo due domande: gli insegnanti i genitori e i decisori nel mondo della formazione sono consapevoli eattrezzati a gestire questa rivoluzione antropologica e cognitiva in corso? I politici e i decisori istituzionali sono consapevoli della distanza sempre più grande che separa gli stili di produzione e progettazione dei prodotti dell’industria culturale dai nuovi stili di fruizione dei nativi digitali? 

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