--Il dibattito recente su “nativi digitali” e “immigranti digitali” è di grande attualitrà e presenta non poche incertezza, stante la novità dell'argomento e le profonde implicazioni.
Tra le prime e fondamentali domande, è il caso di chiedersi se esistono davvero i nativi digitali e chi
sono e se il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età.Un interessante iniziativa sul tema è stata organizzata dall’università di Milano Bicocca, con il convegno Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche, il 18 e il 19 novembre scorsi a Cinisello Balsamo (Milano).
Ciò che emerge è che la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa,
a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e
non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati.
Interessante, quale commento dei risultati emersi, il commento di Paolo Ferri, che pubblichiamo di seguito, anche per la attenta disamina che ci propone.I nativi sono una specie in via di apparizione, all’interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell’età e quindi dell’esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Dai dati del report di ricerca, emergono, infatti, tre tipologie differenti di nativi digitali, che segnano la transizione dall’analogico al digitale dei giovani nei paesi sviluppati:
nativi digitali puri (tra 0 e 12 anni);
Millennials (tra 14 e 18 anni);
nativi digitali spuri (tra 18 e 25 anni).
Per polarizzare e rendere più esplicativo il ragionamento prendiamo in
considerazione le differenze tra i due “estremi”, i nativi digitali puri e
quelli spuri.
I nativi digitali spuri: gli studenti universitari
Che significa definire nativi digitali spuri gli studenti universitari? In
realtà, i nostri dati dicono che navigano tantissimo in Internet,
quasi tutti utilizzando la banda larga. Usano sempre più il
cellulare prevalentemente per sms, foto e video (poco
per navigare in Internet), non guardano quasi più la televisione, sentono
poco la radio e purtroppo continuano a non leggere libri (men
che meno ebook), se non quelli che studiano. Tuttavia il loro uso del Web è
ancora “ molto analogico”, molto Web 1.0. Sono loro
stessi a definirsi utenti di base del Web e solo il 21 per cento si
definisce un utente esperto. Gli studenti universitari navigano
molto, usano i blog e leggono quelli dei loro amici,
ma meno nel 2010 che nel 2009, a causa come vedremo del fenomeno
Facebook.
Per esempio, gli studenti della Bicocca conoscono e usano poco strumenti di
condivisione 2.0 anche molto elementari come Flicker, ma fanno molte foto con
il cellulare. E più in generale conoscono e usano meno di quanto
ci si potrebbe aspettare le piattaforme
2.0, per esempio You Tube, soprattutto per caricare materiali
originali e autoprodotti.
Leggermente migliore, ma si tratta di studenti universitari, l’utilizzo
di Wikipedia e la creazione di contenuti su questa piattaforma bottom
up di condivisione della conoscenza.
Ma questi dati, che sono congruenti con quelli della ricerche
internazionali, ci dicono che si è probabilmente sopravvalutata la capacità di
utilizzo in chiave attiva e creativa dei vari tools della comunicazione
digitale e del Web 2.0. Per esempio, questo si evidenzia ancora maggiormente
rispetto alla mancata conoscenza da parte degli studenti
universitari di strumenti come Slide Share, o Scribid,
importanti per pubblicare e analizzare ricerche di prima mano, oppure Amazon,
fondamentale per essere documentati sulla ricerca internazionale nei vai campi
del sapere - e Amazon è pressoché sconosciuto. Neppure LinkedIn,
fondamentale per raggiungere il mercato del lavoro, viene utilizzato.
Analizzando questi dati, non ci si deve scoraggiare, quello che è successo
è un errore di prospettiva, che ha portato a considerare questa
tipologia di nativi come capaci di una cultura partecipativa che è, invece,
propria solo dei più piccoli. I bambini nati dopo il 2000, cioè dopo la
diffusione massiccia di Internet, la vera arma di costruzione di massa del
nuovo millennio. Le corti tra i 18 e 25 anni hanno studiato in una scuola
analogica, e hanno conosciuto la tecnologia tra gli 8 e 10 anni a
casa o dagli amici, ma non l’hanno quasi mai usata in maniera nativa.
Per esempio, dai nostri dati emerge in maniera chiara che Facebook, il fenomeno
di questi due anni, è usato dai nativi digitali spuri in maniera “affluente” e
“non proattiva”. Cioè Facebook ha fatto calare almeno nei 2/3
di questo gruppo la dimensione creativa e innovativa dell’uso del
Web. Facebook è più immediato di un blog, e meno
impegnativo di Wikipedia e YouTube.
Che conclusioni si possono trarre da questo ragionamento? I nativi esistono
ma non sono tutti uguali, la contaminazione analogica del gruppo
tra i 18 e i 25 anni è ancora molto forte, lo è molto meno presso i Millennial
e tende a scendere a zero nei nativi digitali puri.
I nativi digitali puri
Se prendiamo in considerazione i bambini tra gli zero e il 12 anni, ci
rendiamo conto che sono loro i veri nativi. Hanno un’esperienza diretta
sempre più precoce degli schermi interattivi digitali - consolle
per i videogiochi, cellulari, computer, iPod - così come della navigazione in
Internet.
Henry Jenkins, già direttore del Comparative Media Studies Program presso
il Mit di Boston e oggi Provost alla AnneNberg School of Communication della
University of Southern California, definisce l’insieme di questi comportamenti
come la nuova “ cultura partecipativa informale” dei nativi.
“ Lacultura partecipativa dà un forte sostegno alle
attività di produzione e condivisione delle creazioni
digitali e prevede una qualche forma di mentorship informale, secondo la
quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti.
All’interno di una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell’ importanza
del loro contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli
altri”, scrive Jenkins. I bambini tra gli 0 e 12 anni, sono, infatti, il primo
gruppo veramente digitale. È ai loro comportamenti che dobbiamo guardare, più
che ai comportamenti dei nativi digitali spuri, per capire il nostro futuro e
per costruire un mondo che sia più accogliente per i nostri figli. Restano solo
due domande: gli insegnanti i genitori e i decisori nel mondo della formazione
sono consapevoli eattrezzati a gestire questa rivoluzione
antropologica e cognitiva in corso? I politici e i decisori istituzionali
sono consapevoli della distanza sempre più grande che separa gli
stili di produzione e progettazione dei prodotti dell’industria
culturale dai nuovi stili di fruizione dei nativi digitali?
Nessun commento:
Posta un commento