22 ottobre 2012

Consumatori o compratori?

- E’ passato quasi un anno, ma l’articolo di Wolfang Achatius, pubblicato su Die Zeit (ripreso, per noi, da Internazionale del 23 dicembre 2011) mantiene intatta l’attualità e merita di essere “ripescato” e riproposto alla nostra attenzione.
Cifre alla mano, l’articolo prende avvio da alcuni dati macro che caratterizzano la crisi di questi anni, per dimostrare che non è cosa passeggera ma strutturale.
“Vi è, indubbiamente “qualcosa che frena la macchina del capitalismo…e la causa non può essere legata a un singolo paese, altrimenti questo periodo di stasi non si manifesterebbe contemporaneamente, come oggi, in tanti paesi diversi. Cos’hanno in comune i tedeschi, i francesi, i giapponesi e gli statunitensi? L’abbondanza.”
E basta entrare nei nostri supermercati, per vederli pieni di ogni bene, con le persone che comprano, anche se un po’ meno rispetto al passato. Ma “perché la macchina funzioni, devono comprare di più, ogni anno. Solo che non è facile. I mercati sono saturi… Siamo sazi”.

Interessante l’analisi terminologica dell’autore,
che propone di sostituire il termine “consumatori” con quello di “compratori”, visto che ormai prevale il momento dell’acquisto e ben pochi sono i beni che vengono usati per un effettivo consumo. Per consumare ci vuole del tempo, ma se le cose durano troppo, non serve produrne di nuove e la macchina produttiva si inceppa: “per continuare a far crescere l’economia, infatti, bisogna comprare senza sosta…" Un po' quel che accade, se ci pensiamo, all'abbigliamento, dove le grandi catene rinnovano senza sosta collezioni e vetrine, non più al ritmo delle stagioni, ma con cadenza quindicinale, se non settimanale. Non solo non si ha il tempo di consumere quel che si compra, ma non si ha nemmeno il tempo, verrebbe da dire, di andarlo a comprare...
A questo punto, contnua l'articolo, sorge un altro problema: "come convincere le persone a comprare senza consumare, accumulando libri dimenticati sulle mensole, vestiti nell’armadio, giocattoli nelle camere da letto dei bambini, con il solo scopo di impacchettarli e abbandonarli al più presto per comprarne di nuovi…”
Secondo le previsioni di J.M. Keynes, la produzione capitalista avrebbe soddisfatto i nostri bisogni e, una volta raggiunto l'obiettivo, l'economia avrebbe smesso di crescere, il capitalismo avrebbe esaurito il suo compito e le persone sarebbero state felici. Ma le cose, se ben guardiamo, nn sono andate così e, anche se sazi, felici non siamo.
Si affacciano, a questo punto, alcune domande che è bene, di tanto in tanto, porsi: “La società si può organizzare in modo di accontentarsi di conservare il benessere invece di aumentarlo? Cosa bisogna fare perché sia la felicità delle persone a crescere e non il fatturato delle imprese? E’ possibile dare alla natura un valore superiore a quello dei diecimila oggetti? Insomma, esiste un’alternativa al capitalismo?
Ma vale la pena di leggerlo per intero, a questo LINK.

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