Ma prima di affrontare uno qualsiasi dei molti
argomenti che possiamo qui incontrare, vale la pena stabilire un minimo punto
di partenza, che troviamo nella voce “bioetica” curata da Claudia Navarini
Azzola per le “Voci per un dizionario del pensiero forte”, promosso
dall’I.D.I.S. (Istituto per la
Dottrina e l’Informazione Sociale), che riprendiamo
integralmente e pubblichiamo qui di seguito, a cominciare dall’origine del termine,
che sarebbe stato coniato dall’oncologo americano VR Potter nel 1970. Da allora
tempo ne è passato e ulteriori notevolissimi progressi sono avvenuti. Ma
l’attualità di allora è oggi pienamente confermata e, possiamo dire, ancor più
stringente.
Claudia Navarini Azzola
1. Il problema e il termine
...Le nuove tecnologie conferiscono possibilità
d’intervento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente mai viste prima e tali, per il
potere che dischiudono, da richiedere regolamentazione e sorveglianza, sia in
fase di ricerca che di utilizzo. Proprio a partire da una riflessione sui
pericoli di autodistruzione dell’uomo per il delirio di onnipotenza
biotecnologica, un oncologo dell’università del Wisconsin, Van Rensselaer
Potter conia nel 1970 il termine "bioetica" in un’opera apparsa negli
Stati Uniti d’America con il titolo Bioethics: A Bridge To the Future.
Di lì in poi, centri di ricerca in bioetica si sono moltiplicati un po’ in tutto il mondo, assumendo posizioni diversificate, ma quasi ovunque prospettando — accanto ai rischi — le speranze di un futuro migliore proprio attraverso le nuove tecnologie biomediche.
Di lì in poi, centri di ricerca in bioetica si sono moltiplicati un po’ in tutto il mondo, assumendo posizioni diversificate, ma quasi ovunque prospettando — accanto ai rischi — le speranze di un futuro migliore proprio attraverso le nuove tecnologie biomediche.
2. La controversia sulla "qualità della
vita"
Un importante punto di dibattito, in verità mai
esaurito, riguarda fin da subito il concetto di "qualità della vita",
focalizzando quei problemi a cui la medicina più recente poteva dare soluzione,
per garantire standard di benessere più elevati per il maggior numero
possibile di persone. Su tale concetto si hanno le prime spaccature fra le
diverse impostazioni etiche, in particolare fra i sostenitori della vita solo
in quanto "degna" — cioè dotata di criteri minimi di accettabilità
fisico-psichica secondo una valutazione soggettiva o dei più —, e quella di quanti
affermano la sacralità, l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana
innocente indipendentemente dalle circostanze di debolezza, di malattia, di handicap.
Più in profondità, si esplicita presto nel mondo dell’etica, o meglio, delle
etiche, una divisione netta fra due scuole di pensiero tradizionalmente
contrapposte: quella dei soggettivisti/relativisti, cioè di quanti rivendicano
come criterio sommo di valutazione morale l’autonomia del singolo,
eventualmente bilanciata con le esigenze della collettività — utilitarismo,
contrattualismo, anarchismo e comportamentismo —; e quella di quanti
ribadiscono l’esistenza di leggi universali e immutabili della natura umana,
che occorre individuare e seguire per promuovere il bene dell’uomo, quello di
ciascuno così come il bene comune. Naturalmente, in quest’ultimo caso, un nuovo
discrimine sarà dato dal modo d’intendere tale natura, se essa si riduca
al semplice dato fisico-psichico — socio-biologismo, materialismo e
psicologismo — oppure comprenda aspetti metafisici. In quest’ultimo caso,
concetto fondamentale di riferimento è quello di persona, unità
singolare e irripetibile di corpo e spirito, dotata di una natura intelligente
e libera.
3. Bioetica e bioetiche
È evidente che tali linee di riflessione etica si
diramano da altrettante visioni dell’uomo, e che da esse nascono altrettante
prospettive bioetiche, ossia — nei termini definitori proposti da S. E. mons.
Elio Sgreccia, vice presidente della Pontificia Accademia per la Vita e ordinario di Bioetica
all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma — tentativi "di
riflessione sistematica su tutti gli interventi dell’uomo sugli esseri viventi,
una riflessione che si pone un obiettivo specifico e arduo: quello di
identificare valori e norme che guidino l’agire umano, l’intervento della
scienza e della tecnologia sulla vita stessa e sulla biosfera".
Perché una prospettiva bioetica possa dirsi adeguata
alla verità dell’uomo l’identificazione di tali valori e norme per l’agire deve
avvenire in base a un criterio solido e universale, quale la riflessione
razionale rettamente intesa. L’intelligenza, infatti, costituisce un canale
affidabile di conoscenza della realtà così come essa è naturalmente, a patto di
non farne un uso soggettivistico, cioè di credere che il mondo non sia qualcosa
da scoprire e rispettare in quanto tale ma da inventare — re-inventare —, dopo
averlo frammentato e ricostruito nella mente come in un esercizio matematico.
Le principali indicazioni sulle linee di comportamento eticamente corrette, sui
valori e le norme di riferimento in campo bioetico si possono cogliere
esaminando con il lume naturale la realtà dell’uomo e il suo contesto. La
difesa della vita umana, l’assistenza al malato e al morente, la dignità della
persona fin dal concepimento, la tendenza all’unione coniugale e alla
procreazione, la responsabilità e il dominio dell’uomo nei confronti del creato
sono infatti temi accessibili alla riflessione umana.
A questo proposito, la Chiesa cattolica si mostra
da sempre particolarmente attenta e sensibile a tali dati "naturali",
tutelandoli e documentandoli attraverso una lunga produzione magisteriale, che
ha fornito e fornisce spunti di approfondimento etico, argomenti razionali, e
perfino il lessico per la disciplina bioetica, all’interno di una dottrina
estesa e coerente. Oltre a ciò, s’impegna sul piano pratico, come dimostra la
tradizione terapeutica cristiana che è stata all’origine di istituzioni come
gli ospedali, le cliniche e le case di riposo. Sul piano naturale, dunque,
l’insegnamento cattolico sostiene e illumina la bioetica; a questo livello, la Chiesa cattolica ne
aggiunge un altro, teologico, che scaturisce dal piano soprannaturale della
Rivelazione, e che consiste nell’interpretare il senso della sofferenza e della
morte alla luce del mistero di Cristo. Ciò non vanifica ma integra e chiarisce
ulteriormente quanto la luce della ragione già indica.
Perciò appare viziato e sterile il tentativo di
contrapporre alla bioetica cattolica una bioetica "laica", come
appare, per esempio, dal Manifesto di bioetica laica, del 1996. Viziato
perché tale pretesa "alternativa" risulta frequentemente parassitaria
rispetto alla prospettiva sorta in ambito cattolico, ossia si definisce per lo
più in contrasto alla bioetica tradizionale — dice preferibilmente "ciò
che non è" —; sterile perché così facendo rischia di sgretolare non solo
una particolare visione del mondo, ma la bioetica tout court,
togliendole ogni possibilità di fondazione razionale con il relegarla
nell’indeterminatezza del relativismo. Sul fronte "laico", in
effetti, pare impossibile trovare un’omogeneità di vedute, a causa del
pregiudizio secondo cui credere che l’intelletto umano abbia la capacità
naturale di conoscere l’uomo, e la realtà in genere, sarebbe "dogmatico".
4. I temi della bioetica
Fondamento della bioetica, dunque, è l’antropologia —
lo studio sulla persona umana e sulla sua natura specifica —, punto di partenza
irrinunciabile per ogni riflessione ulteriore e insieme richiamo a quelle
domande che da sempre l’uomo si pone sul senso della vita, attraverso l’uso
della propria ragione, in particolare sulla questione degli estremi della vita
terrena — nascita e morte — e sul problema della sofferenza.
Nel primo ambito rientrano quali temi principali, da
una parte, statuto dell’embrione, clonazione umana, sperimentazioni genetiche
sull’uomo e fecondazione artificiale; dall’altra, contraccezione,
sterilizzazione e aborto, eutanasia, espianto d’organi e suicidio. È
significativo osservare come problemi apparentemente opposti, quali per esempio
il desiderio di procreare — fecondazione artificiale — e il desiderio di non
procreare o di eliminare il frutto del concepimento — contraccezione e aborto
—, rispondano in effetti a logiche simili, per cui laddove non si rispetti il criterio
dell’indisponibilità della vita — un essere umano non è qualcosa che
"faccio", che "scelgo", che "possiedo", ma che
accolgo e curo — facilmente si passa con disinvoltura dall’uno all’altro. Così,
per esempio, proprio in conseguenza dell’introduzione delle tecniche di
fecondazione artificiale, sorge il problema di cosa fare degli embrioni
prodotti in sovrannumero allo scopo di offrire ai richiedenti maggiori
possibilità di riuscita dell’operazione. Infatti, la fecondazione in vitro
presenta una significativa percentuale d’insuccessi, sia nel concepimento, sia
relativamente al rischio di patologie genetiche e degenerative dell’embrione;
inoltre, il tasso di abortività spontanea conseguente all’impianto è molto
alto. Il destino degli embrioni inutilizzati o "superflui" è presto
intuito: se non vengono impiantati sono destinati al congelamento a tempo
indeterminato, in attesa di impianti futuri o di "utilizzi" quali la
sperimentazione e la formazione di una riserva di organi e tessuti
trapiantabili, il che equivale alla loro eliminazione; se sono stati
impiantati, subiscono la cosiddetta "riduzione embrionale", ovvero un
aborto eugenetico selettivo teso a conservare solo i figli
"migliori".
Tale mentalità tecnicistica e materialistica
contribuisce a ingenerare uno squilibrio nel campo della sessualità — e dunque
nella famiglia — che si riflette anche sull’educazione e le relazioni
interpersonali. I crescenti casi di pedofilia, da un lato, e di violenza
minorile, dall’altro, ne sono una prova: se il figlio, e il bambino in genere,
sono in fondo oggetti acquistabili e manipolabili a piacimento, potranno
divenire anche oggetti di desiderio e abuso sessuale; analogamente, un bambino
o un ragazzo che cresce in un contesto sociale aberrante nei confronti della sessualità,
della nascita, della vita, difficilmente avrà una visione appropriata della
morte, e potrà quindi giungere a giocare con l’incolumità di altre persone
"per divertimento", come in un videogioco, o come se avesse a che
fare con "cose", simili a quella "cosa" che è lui stesso,
il figlio.
Del secondo ambito fanno parte tutte le ricerche
propriamente volte alla terapia, come sperimentazione di farmaci, discussione
di casi clinici, trapianti d’organo, diagnosi prenatali — quando non
finalizzate all’aborto —, cura e controllo dei disturbi psichiatrici nonché
delle nevrosi, dell’handicap fisico-mentale, delle tossicodipendenze —
da farmaci, da droga e da alcool —, delle malattie sessualmente trasmesse, dei
disturbi della sessualità: malattie, deviazioni e perversioni sessuali. Vi
rientrano inoltre tutti quegli studi e quelle attività che, nel desiderio di
eliminare per quanto è possibile la sofferenza, si prefiggono un aumento del
benessere psico-fisico attraverso la farmacologia e la psicofarmacologia cosmetica
— cioè a uso non direttamente terapeutico —, la chirurgia estetica, la
manipolazione genetica su animali e piante, la medicina sportiva e quella del
lavoro, il rapporto medico/paziente e la deontologia medica, la regolazione
della fertilità; oppure vi rientrano gli studi e le attività che puntano a un
miglioramento delle condizioni generali dell’umanità a partire dalle situazioni
di squilibrio socio-economico presenti nel mondo — demografia, biotecnologie
applicate all’industria e all’agricoltura —; infine, il trattamento palliativo
della sofferenza, come in alcuni casi di disabilità grave e nell’assistenza ai
morenti, i cosiddetti "malati terminali".
5. Bioetica e orientamenti di politica sanitaria
Dalla centralità o meno attribuita alla persona umana
e all’istituto familiare nella società derivano la maggior parte delle scelte
politico-sanitarie: un corpo sociale fondato sulla tutela della comunione delle
persone — la communio personarum — nella famiglia tenderà ad attuare
leggi, metodi educativi e linee culturali che promuovano una crescita ordinata
in questa direzione e non un solipsistico affermarsi dell’autonomia onnipotente
del singolo o un livellamento delle differenze nel delirio di una
"programmazione globale" della vita — come suggestivamente descriveva
nel 1932, in
una veste che ormai non suona più fantascientifica, Il mondo nuovo di
Aldous Huxley (1894-1963).
Il compito della riflessione bioetica più autentica è
dunque quello di approfondire e proporre la verità sull’uomo, offrendo, anche
ai responsabili della cultura e del bene comune, elementi di giudizio e
orientamenti per l’azione.
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