Detto così, il solo nome dice poco o nulla e anche se
lo ricordiamo come il “padre” del FRACKING, forse a molti ancora sfugge il
ruolo di questo ingegnere/imprenditore americano.
Si intende per fracking il processo di fratturazione idraulica con cui vengono fratturate le rocce negli strati
profondi del sottosuolo, per ottenere la fuoriuscita di gas e petrolio
intrappolato al loro interno.
Le sue innovazioni – inseguite con caparbietà e grande
dispendio di capitali per alcuni decenni - che consentono ora di ottenere combustibili un
tempo difficili/impossibili da raggiungere, hanno probabilmente “avuto più
effetto sulla politica estera degli Stati Uniti rispetto a qualsiasi statista
dopo l'inizio della guerra fredda” osserva l’autorevole The Guardian, nel
necrologio del 4 agosto scorso.
Possiamo ben dire, con i risultati oggi raggiunti, che
Mitchell ha aperto un nuovo e in precedenza impensato fronte per reperire risorse
energetiche: grazie alle tecniche di fratturazione idraulica che egli ha
sperimentato per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, l' Agenzia internazionale per l'energia ha
previsto che entro cinque anni gli USA potrebbero
diventare il primo produttore di petrolio al mondo ed essere così indipendenti
dalla necessità di importare combustibili da Paesi esteri, diventando così da
“divoratore” di carburanti importati una
nazione energeticamente autonoma.
La portata di questa rivoluzione è difficile da
valutare, ma basterebbe pensare che nel 1990 gli Stati Uniti erano così
dipendenti dal petrolio dall'Arabia Saudita che le relazioni con i Paesi del
Medio Oriente erano da considerarsi fondamentali e da esse dipendeva tutta la
politica estera della nazione più potente del mondo.
Di contro, oggi gli USA sono sulla buona strada per superare
l'Arabia Saudita come il più grande produttore al mondo di petrolio entro la
fine del decennio, secondo le stime e le proiezioni dell'Agenzia internazionale
per l'energia, e questo grazie al petrolio e al gas ottenuti con il fracking.
Nato a Galveston, Texas, G. P. Mitchell incarna alla
perfezione il self-made man americano: figlio di poveri immigrati greci, con il
padre che fa il lustrascarpe, si è laureato in ingegneria presso la Texas A
& M University e ha trascorso quattro anni nel Corpo degli
Ingegneri dell'Esercito durante la seconda guerra mondiale.
In seguito, si stabilì in Texas, diventando un
apprezzato e abile “wildcatter” (cercatore/scopritore di giacimenti di
petrolio). Con i guadagni così ottenuti, ha potuto così acquistare vaste
proprietà nelle zone del Texas trascurate dalle major petrolifere e qui dare corso alla
ricerca e alle sperimnatzioni per ottenere lo shale gas.
Il metodo del FRACKING era stato esplorato e anche
dimostrato, pur con modesti risultati pratici, fin dal 1940, mediante il
pompaggio di acqua, sabbia e sostanze chimiche ad alta pressione contro le
dense rocce di scisto nel sottosuolo, in modo da creare piccole fessure che
rilasciano le microscopiche bolle di gas intrappolate all'interno.
La tecnica era però costosa e difficile da usare nella
pratica, perché il gas prodotto era difficile da incanalare verso la superficie.
La grande innovazione di G. Mitchell consiste nel
nuovo metodo di perforazione: non più pozzi verticali, ma perforazione mediante
gallerie orizzontali. Il risultato è stato rivoluzionario: mentre i pozzi
verticali sono necessariamente limitati nella quantità di gas che possono
portare in superficie, una volta ottenuti pozzi “orizzontali” (con ramificazione
in tutte le direzioni, quasi come un albero di Natale) con presenze e impatti
molto limitati in superficie, i rendimenti sono aumentati in modo
esponenziale.
Alla fine del 1990, le
tecniche pionieristiche di Mitchell hanno cominciato a dare frutti e ad
attirare l'attenzione delle major del petrolio e del gas, tanto che nel 2002,
ha venduto la sua azienda a Devon Energy Corporation per 3,5 miliardi di
dollari.
Mitchell era arrivato a perforare più di 10.000 pozzi
prima di vendere a Devon: oggi, negli Stati Uniti, i pozzi sono più di mezzo
milione. Una quantità tale che la combustione in torcia del gas in eccesso può
essere vista dallo spazio di notte.
Certamente non mancano alcuni aspetti critici, legati
a contaminazioni delle acque di falda. Grazie a una clausola inserita nella legge degli Stati Uniti nel 2005 dall'allora vice-presidente, Dick
Cheney (che ha vasti interessi di combustibili fossili), non era obbligatorio
rendere note quali sostanze vengono usate come solvente nel processo di
fratturazione. Ma quello ambientale è un argomento che merita diversa e
apposita trattazione.
Le sconvolgenti novità che dobbiamo attenderci dal mutato quadro
energetico mondiale derivante dall’utilizzo di shale gas, non sfuggono agli
analisti più attenti, come l’italiano GIULIO SAPELLI, che osserva come l'aerea che va dal Marocco e dal Golfo
all'Iran e che costituisce la nuova terra di confronto nel mondo islamico, “vede
sempre più allontanarsi da sé il ruolo egemonico degli Usa con conseguenze che
possono essere devastanti se questo vuoto non viene subito colmato”.
Saranno i Brics i
Paesi più interessati dai processi di fracking, essendo in questo favoriti dal loro basso grado di
antropizzazione; al contrario, nell’Europa densamente popolata già si fanno
sentire le resistenze alle sole ricerche della nuova fonte energetica.
Ma la conseguenza
più rilevante è geostrategica, osserva ancora Giulio Sapelli: “con la costante perdita di interesse degli
Usa per dominio dell'area del Golfo e in generale nordafricana e mediorientale,
si apre un pericoloso vuoto di potere perché l'Europa non è in grado di colmare
tale vuoto per le sue divisioni interne e per l'assenza di un esercito europeo.”
Conclude così la
sua analisi lo studioso italiano: “Le
pulsioni imperiali benefiche della Francia non hanno dietro di sé la forza
economica per essere sostenute militarmente ed economicamente. Solo
un'Europa che integri in sé la Russia
potrebbe svolgere il compito egemonico adatto per porre sotto tutela e sotto
stabilizzazione − alternando interventi militari, gioco diplomatico e accordi
commerciali – un'area destinata a essere centrale per la stessa sopravvivenza
dell' Europa sia dal punto di v ista della sicurezza interna (per la
penetrazione possibile di cellule terroristiche islam iche) sia per il suo
sviluppo per il reservoir di energia presente nell'area e che rischia di finire
nelle mani di una Cina sì in decadenza, ma, proprio per questo, sempre più
pericolosamente aggressiva”.
Sullo shale oil vedere anche:
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