3 ottobre 2013

shale gas: cambiamenti epocali all'orizzonte?

-Il 26 luglio scorso è morto, alla bella età di 94 anni, George P. Mitchell. 

Detto così, il solo nome dice poco o nulla e anche se lo ricordiamo come il “padre” del FRACKING, forse a molti ancora sfugge il ruolo di questo ingegnere/imprenditore americano.
Si intende per fracking il processo di fratturazione idraulica con cui vengono fratturate le rocce negli strati profondi del sottosuolo, per ottenere la fuoriuscita di gas e petrolio intrappolato al loro interno.

Le sue innovazioni – inseguite con caparbietà e grande dispendio di capitali per alcuni decenni -  che consentono ora di ottenere combustibili un tempo difficili/impossibili da raggiungere, hanno probabilmente “avuto più effetto sulla politica estera degli Stati Uniti rispetto a qualsiasi statista dopo l'inizio della guerra fredda” osserva l’autorevole The Guardian, nel necrologio del 4 agosto scorso.
Possiamo ben dire, con i risultati oggi raggiunti, che Mitchell ha aperto un nuovo e in precedenza impensato fronte per reperire risorse energetiche: grazie alle tecniche di fratturazione idraulica che egli ha sperimentato per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, l' Agenzia internazionale per l'energia ha previsto che entro cinque anni gli USA potrebbero diventare il primo produttore di petrolio al mondo ed essere così indipendenti dalla necessità di importare combustibili da Paesi esteri, diventando così da “divoratore” di carburanti importati una  nazione energeticamente autonoma. 
La portata di questa rivoluzione è difficile da valutare, ma basterebbe pensare che nel 1990 gli Stati Uniti erano così dipendenti dal petrolio dall'Arabia Saudita che le relazioni con i Paesi del Medio Oriente erano da considerarsi fondamentali e da esse dipendeva tutta la politica estera della nazione più potente del mondo.
Di contro, oggi gli USA sono sulla buona strada per superare l'Arabia Saudita come il più grande produttore al mondo di petrolio entro la fine del decennio, secondo le stime e le proiezioni dell'Agenzia internazionale per l'energia, e questo grazie al petrolio e al gas ottenuti con il fracking.
Nato a Galveston, Texas, G. P. Mitchell incarna alla perfezione il self-made man americano: figlio di poveri immigrati greci, con il padre che fa il lustrascarpe, si è laureato in ingegneria presso la Texas A & M University e ha trascorso quattro anni nel Corpo degli Ingegneri dell'Esercito durante la seconda guerra mondiale.
In seguito, si stabilì in Texas, diventando un apprezzato e abile “wildcatter” (cercatore/scopritore di giacimenti di petrolio). Con i guadagni così ottenuti, ha potuto così acquistare vaste proprietà nelle zone del Texas trascurate  dalle major petrolifere e qui dare corso alla ricerca e alle sperimnatzioni per ottenere lo shale gas. 
Il metodo del FRACKING era stato esplorato e anche dimostrato, pur con modesti risultati pratici, fin dal 1940, mediante il pompaggio di acqua, sabbia e sostanze chimiche ad alta pressione contro le dense rocce di scisto nel sottosuolo, in modo da creare piccole fessure che rilasciano le microscopiche bolle di gas intrappolate all'interno. 
La tecnica era però costosa e difficile da usare nella pratica, perché il gas prodotto era difficile da incanalare verso la  superficie.
La grande innovazione di G. Mitchell consiste nel nuovo metodo di perforazione: non più pozzi verticali, ma perforazione mediante gallerie orizzontali. Il risultato è stato rivoluzionario: mentre i pozzi verticali sono necessariamente limitati nella quantità di gas che possono portare in superficie, una volta ottenuti pozzi “orizzontali” (con ramificazione in tutte le direzioni, quasi come un albero di Natale) con presenze e impatti molto limitati in superficie, i rendimenti sono aumentati in modo esponenziale. 
Alla fine del 1990, le tecniche pionieristiche di Mitchell hanno cominciato a dare frutti e ad attirare l'attenzione delle major del petrolio e del gas, tanto che nel 2002, ha venduto la sua azienda a Devon Energy Corporation per 3,5 miliardi di dollari.
Mitchell era arrivato a perforare più di 10.000 pozzi prima di vendere a Devon: oggi, negli Stati Uniti, i pozzi sono più di mezzo milione. Una quantità tale che la combustione in torcia del gas in eccesso può essere vista dallo spazio di notte.
Certamente non mancano alcuni aspetti critici, legati a contaminazioni delle acque di falda. Grazie a una clausola inserita nella legge degli Stati Uniti nel 2005 dall'allora vice-presidente, Dick Cheney (che ha vasti interessi di combustibili fossili), non era obbligatorio rendere note quali sostanze vengono usate come solvente nel processo di fratturazione. Ma quello ambientale è un argomento che merita diversa e apposita trattazione.
Le sconvolgenti novità che dobbiamo attenderci dal mutato quadro energetico mondiale derivante dall’utilizzo di shale gas, non sfuggono agli analisti più attenti, come l’italiano GIULIO SAPELLI, che osserva come l'aerea che va dal Marocco e dal Golfo all'Iran e che costituisce la nuova terra di confronto nel mondo islamico, “vede sempre più allontanarsi da sé il ruolo egemonico degli Usa con conseguenze che possono essere devastanti se questo vuoto non viene subito colmato”.
Saranno i Brics i Paesi più interessati dai processi di fracking, essendo in questo favoriti dal loro basso grado di antropizzazione; al contrario, nell’Europa densamente popolata già si fanno sentire le resistenze alle sole ricerche della nuova fonte energetica.
Ma la conseguenza più rilevante è geostrategica, osserva ancora Giulio Sapelli: “con la costante perdita di interesse degli Usa per dominio dell'area del Golfo e in generale nordafricana e mediorientale, si apre un pericoloso vuoto di potere perché l'Europa non è in grado di colmare tale vuoto per le sue divisioni interne e per l'assenza di un esercito europeo.”
Conclude così la sua analisi lo studioso italiano: “Le pulsioni imperiali benefiche della Francia non hanno dietro di sé la forza economica per essere sostenute militarmente ed economicamente. Solo
un'Europa che integri in sé la Russia potrebbe svolgere il compito egemonico adatto per porre sotto tutela e sotto stabilizzazione − alternando interventi militari, gioco diplomatico e accordi commerciali – un'area destinata a essere centrale per la stessa sopravvivenza dell' Europa sia dal punto di v ista della sicurezza interna (per la penetrazione possibile di cellule terroristiche islam iche) sia per il suo sviluppo per il reservoir di energia presente nell'area e che rischia di finire nelle mani di una Cina sì in decadenza, ma, proprio per questo, sempre più pericolosamente aggressiva”.


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