21 ottobre 2013

La scuola italiana perde terreno

Madri coreane pregano perchè i figli superino un esame
-Se possiamo condividere l’assunto secondo cui le alte rette delle più famose università USA non sono per niente garanzia di folgoranti carriere lavorative e nemmeno sono il presupposto fondamentale per lo sviluppo della società e dello Stato (vedi penultimo articolo, qui sotto), è altrettanto vero che esiste un netto parallelismo tra sviluppo economico dei Paesi più performanti degli ultimi decenni e il parallelo incremento della qualità del loro sistema educativo, come dimostra il caso della COREA.

La Banca Mondiale ha recentemente reso disponibile una interessante banca dati con le serie storiche degli indicatori ricavati dai maggiori istituti di statistica internazionale (http://databank.worldbank.org/ddp/home.do).
Una ricerca condotta da Enrico Gori e Raffaella Marin – di cui Il Sussidiario ha anticipato, tempo fa, alcuni dei risultati – permette una lettura comparata e, per alcuni versi, impietosa, della realtà scolastica italiana.
In particolare, la ricerca si è concentrata sugli indicatori riguardanti i 31 Paesi più ricchi, tra i quali figura, ovviamente, anche l’Italia, e i dati estratti riguardano il periodo 1971 – 2010: un quarantennio, dunque, che ci permette di valutare COME si è venuto evolvendo il sistema educativo del nostro Paese rispetto a quello degli altri Paesi a noi più simili, per quanto riguarda livello di ricchezza e di sviluppo.
Va detto, fin da queste prime battute, che le performance fatte registrare dal sistema educativo della Corea (del Sud, ovvio), brillano rispetto a quelle di tutti gli altri Paesi e appaiono davvero “sfavillanti” se paragonate a quanto accaduto in Italia nello stesso periodo.
E va detto ben chiaro che si sta parlando di “risultati individuali in termini di conoscenze effettive e non di mero titolo di studio cartaceo”, che è poi una costante se guardiamo alle altre performance dei Paesi asiatici rispetto al mondo occidentale.
L’analisi condotta da Enrico Gori e Raffaella Marin si è concentrata, in particolare, su tre ambiti:
1. Qualificazione della forza lavoro
2. Risultati di apprendimento di matematica
3. Tassi di accesso ai diversi gradi di istruzione
e questi sono alcuni degli spunti che ci sembrano di sicuro interesse:

1.Qualificazione della forza lavoro
Secondo le più diffuse e accettate interpretazioni, un primo importante indicatore per valutare lo stato di un Paese è costituito dal grado di istruzione raggiunto dalla sua forza lavoro: da questo punto di vista, l’Italia non se la passa per niente bene, se consideriamo che da oltre 20 anni il nostro paese è tra quelli che hanno la più alta percentuale di lavoratori che detengono il solo titolo di istruzione primaria. Per dare qualche elemento di raffronto, vediamo che nel ventennio 1991-2010,  tale quota in Italia si è ridotta da oltre 55% al 37%; la Korea, nello stesso periodo di tempo, ha portato tale quota dal 45% al 25%.
A guardare gli aspetti positivi, a favore del nostro Paese, vediamo che la quota di forza lavoro con istruzione secondaria è giunta ad un livello paragonabile a quello mediano dei paesi dell’OCSE e costituisce quasi la metà della forza lavoro del paese (47%).
Se è vero che un livello di istruzione almeno medio è fondamentale per accrescere le capacità di riconversione della forza lavoro, specie in momenti di crisi come questi, dobbiamo tuttavia chiederci qual è il livello delle competenze-conoscenze dei diplomati secondari nel nostro paese, per sapere se risulta più o meno allineato, nella sostanza e non nei titoli di studio, a quanto si verifica nel resto dei Paesi sviluppati. E in questa direzione, risulta di fondamentale rilievo il livello delle competenze raggiunte in matematica, materia dove è anche più fattibile un confronto oggettivo tra le competenze raggiunte dagli studenti dei diversi Stati e dai rispettivi sistemi educativi.

2. Risultati di apprendimento di Matematica
Analizzando i  dati che ci vengono forniti dalle indagini TIMSS e PISA, attraverso la Banca Mondiale, l’Italia si posiziona, per quanto riguarda i risultati di apprendimento in matematica, poco sotto la mediana dei 22 paesi per tutti e tre i gradi di istruzione e per tutti gli anni. Ma con l’ultima indagine, ciò che veramente impressiona, comunque, è la distanza rispetto a paesi più virtuosi tipo la Korea.
Le differenze rispetto ai paesi più virtuosi sono abissali: se in Italia solo il 5% dei bambini giunge alla soglia di eccellenza per il 4° grado, in Korea tale quota è ben del 40% e nell’8° grado la situazione è del tutto analoga; inoltre, guardando ai ragazzi di 15 anni, l’Italia vede solo il 2% dei suoi studenti a livelli di eccellenza contro l’8% dei paesi più virtuosi.
In sintesi possiamo dire che, in Italia, gli studenti che raggiungono livelli di eccellenza – non di valutazione/votazione, bensì di performance -  sono meno numerosi tra 4 e 10 volte, a seconda dei gradi di istruzione, rispetto ai paesi più virtuosi (che sono, soprattutto, i Paesi asiatici).

3. Tassi di accesso ai diversi gradi di istruzionne
Ovviamente, nei paesi sviluppati è poco significativo il tasso di accesso all’istruzione primaria, in quanto, in tali Paesi, si raggiunge un taso pari al 100%. Più interessante, invece, è l’analisi di questo indicatore per i Paesi in via di sviluppo, per i quali il tasso di accesso all’istruzione primaria è uno degli indicatori più importanti per valutare il raggiungimento degli obiettivi di alfabetizzazione di base.

Tassi di accesso alla scuola dell’infanzia e primaria. I tassi di accesso alla scuola dell’infanzia sono ormai giunti, in Italia, ai massimi livelli già da 20 anni, superando da tempo gran parte degli altri paesi OCSE.

Tassi di accesso all’istruzione secondaria. Per quanto concerne l’accesso all’istruzione secondaria, nel 2010 si è raggiunta, in Italia, la punta massima del 94% (netto) che costituisce un livello medio tra i paesi sviluppati (vale la pena ricordare che, ancora nel 1999, il tasso di accesso era solo dell’85%).
In sostanza, possiamo dire che, per quanto riguarda l’istruzione pre-universitaria, resta aperto il problema della qualità degli apprendimenti, dove il nostro paese deve fare ancora molta strada, sia rispetto ai livelli medi mondiali, sia rispetto al livello dei paesi più virtuosi.
Rilasciare un titolo di studio è relativamente facile, ma i livelli di eccellenza (rispetto a scale di misura oggettive) non si raggiungono per provvedimento amministrativo.

Tasso di accesso all’università
Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione universitaria, nei primi anni 70 l’Italia si trovava nelle prime posizioni. Nel corso degli anni Ottanta, questo tasso si è da noi stabilizzato attorno al 20%, mentre nel resto dei Paesi più sviluppati le cose sono andate diversamente.
Come riporta la ricerca Gori-Marin, “dai primi anni 90 la crescita del tasso di accesso all’istruzione universitaria si è attestata sul livello mediano dei più ricchi paesi OCSE, giungendo intorno al 65% nel 2010: mentre i paesi più virtuosi raggiungono ormai livelli dell’80-90%, con la Korea che arriva al 100%”.

Per quanto le competenze della popolazione adulta, l’OCSE ha recentemente diffuso i dati emersi dal confronto tra oltre 20 Paesi sviluppati (vedi il Rapporto Skills Outlook 2013)
Questa indagine sulle capacità degli adulti, all’interno del Programme for the International Assessment of Adult Competencies (Piaac), si affianca all’ indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) che da tempo fotografa il livello di preparazione degli studenti.
Guardando alla capacità di literacy (diversi livelli di lettura e comprensione di un testo complesso), di numeracy, emerge una situazione italiana alquanto mortificante e preoccupante.
Mortificante per quel pizzico di orgoglio nazionalista che ancora ci resta; preoccupante perché, in tempi di crisi economica e occupazionale, forti cambiamenti tecnologici, evoluzione rapidissima dei saperi, essere poco più che alfabetizzati rappresenta un handicap di non poco conto per i singoli e per l’intero “sistema Paese”.

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