Madri coreane pregano perchè i figli superino un esame |
La Banca Mondiale ha recentemente reso disponibile una interessante banca dati con le serie storiche degli indicatori ricavati dai maggiori istituti di statistica internazionale (http://databank.worldbank.org/ddp/home.do).
Una ricerca
condotta da Enrico Gori e Raffaella Marin – di cui Il Sussidiario ha
anticipato, tempo fa, alcuni dei risultati – permette una lettura comparata e,
per alcuni versi, impietosa, della realtà scolastica italiana.
In particolare,
la ricerca si è concentrata sugli indicatori riguardanti i 31 Paesi più ricchi,
tra i quali figura, ovviamente, anche l’Italia, e i dati estratti riguardano il
periodo 1971 – 2010: un quarantennio, dunque, che ci permette di valutare COME
si è venuto evolvendo il sistema educativo del nostro Paese rispetto a quello
degli altri Paesi a noi più simili, per quanto riguarda livello di ricchezza e
di sviluppo.
Va
detto, fin da queste prime battute, che le performance fatte registrare dal
sistema educativo della Corea (del Sud, ovvio), brillano rispetto a quelle di
tutti gli altri Paesi e appaiono davvero “sfavillanti” se paragonate a quanto
accaduto in Italia nello stesso periodo.
E va detto ben chiaro che si sta parlando di
“risultati individuali in termini di conoscenze
effettive e non di
mero titolo di studio cartaceo”, che è poi una costante se guardiamo alle altre
performance dei Paesi asiatici rispetto al mondo occidentale.
L’analisi condotta
da Enrico Gori e Raffaella Marin si è concentrata, in particolare, su tre
ambiti:
1. Qualificazione della forza lavoro
2. Risultati di apprendimento di matematica
3. Tassi di accesso ai diversi gradi di
istruzione
e
questi sono alcuni degli spunti che ci sembrano di sicuro interesse:
1.Qualificazione della forza lavoro
Secondo le più
diffuse e accettate interpretazioni, un primo importante indicatore per
valutare lo stato di un Paese è costituito dal grado di istruzione raggiunto dalla sua forza lavoro: da questo
punto di vista, l’Italia non se la passa per niente bene, se consideriamo che
da oltre 20 anni il nostro paese è tra quelli che hanno la più alta percentuale
di lavoratori che detengono il solo titolo di istruzione primaria. Per dare
qualche elemento di raffronto, vediamo che nel ventennio 1991-2010, tale quota in Italia si è ridotta da oltre 55%
al 37%; la Korea, nello stesso periodo di tempo, ha portato tale quota dal 45%
al 25%.
A guardare gli aspetti positivi, a favore del nostro Paese, vediamo che
la quota di forza lavoro con istruzione secondaria è giunta ad un livello
paragonabile a quello mediano dei paesi dell’OCSE e costituisce quasi la metà della
forza lavoro del paese (47%).
Se è vero che un livello di istruzione almeno medio è fondamentale per
accrescere le capacità di riconversione della forza lavoro, specie in momenti
di crisi come questi, dobbiamo tuttavia chiederci qual è il livello delle
competenze-conoscenze dei diplomati secondari nel nostro paese, per sapere se
risulta più o meno allineato, nella sostanza e non nei titoli di studio, a
quanto si verifica nel resto dei Paesi sviluppati. E in questa direzione,
risulta di fondamentale rilievo il livello delle competenze raggiunte in
matematica, materia dove è anche più fattibile un confronto oggettivo tra le
competenze raggiunte dagli studenti dei diversi Stati e dai rispettivi sistemi
educativi.
2. Risultati di apprendimento di Matematica
Analizzando i dati che ci vengono forniti dalle indagini
TIMSS e PISA, attraverso la Banca Mondiale, l’Italia si posiziona, per quanto
riguarda i risultati di apprendimento in matematica, poco sotto la mediana dei
22 paesi per tutti e tre i gradi di istruzione e per tutti gli anni. Ma
con l’ultima indagine, ciò che veramente impressiona, comunque, è la distanza
rispetto a paesi più virtuosi tipo la Korea.
Le differenze
rispetto ai paesi più virtuosi sono abissali: se in Italia solo il 5% dei
bambini giunge alla soglia di eccellenza per il 4° grado, in Korea tale quota è
ben del 40% e nell’8° grado la situazione è del tutto analoga; inoltre, guardando
ai ragazzi di 15 anni, l’Italia vede solo il 2% dei suoi studenti a livelli di
eccellenza contro l’8% dei paesi più virtuosi.
In sintesi
possiamo dire che, in Italia, gli studenti che raggiungono livelli di
eccellenza – non di valutazione/votazione, bensì di performance - sono meno numerosi tra 4 e 10 volte, a seconda
dei gradi di istruzione, rispetto ai paesi più virtuosi (che sono, soprattutto,
i Paesi asiatici).
3. Tassi di accesso ai diversi gradi di
istruzionne
Ovviamente, nei paesi
sviluppati è poco significativo il tasso di accesso all’istruzione primaria, in
quanto, in tali Paesi, si raggiunge un taso pari al 100%. Più interessante,
invece, è l’analisi di questo indicatore per i Paesi in via di sviluppo, per i
quali il tasso di accesso all’istruzione primaria è uno degli indicatori
più importanti per valutare il raggiungimento degli obiettivi di
alfabetizzazione di base.
Tassi di accesso alla scuola dell’infanzia e
primaria. I tassi di
accesso alla scuola dell’infanzia sono ormai giunti, in Italia, ai massimi
livelli già da 20 anni, superando da tempo gran parte degli altri paesi OCSE.
Tassi di accesso all’istruzione secondaria. Per quanto concerne l’accesso all’istruzione secondaria, nel 2010 si è raggiunta,
in Italia, la punta massima del 94% (netto) che costituisce un livello medio
tra i paesi sviluppati (vale la pena ricordare che, ancora nel 1999, il tasso
di accesso era solo dell’85%).
In sostanza, possiamo dire che, per quanto riguarda l’istruzione
pre-universitaria, resta aperto il problema della qualità degli apprendimenti, dove
il nostro paese deve fare ancora molta strada, sia rispetto ai livelli medi
mondiali, sia rispetto al livello dei paesi più virtuosi.
Rilasciare un titolo di studio è
relativamente facile, ma i livelli di eccellenza (rispetto a scale di misura
oggettive) non si raggiungono per provvedimento amministrativo.
Tasso di accesso all’università
Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione
universitaria, nei primi anni 70 l’Italia si trovava nelle prime posizioni. Nel
corso degli anni Ottanta, questo tasso si è da noi stabilizzato attorno al 20%,
mentre nel resto dei Paesi più sviluppati le cose sono andate diversamente.
Come riporta la ricerca Gori-Marin, “dai primi anni 90 la crescita del tasso di
accesso all’istruzione universitaria si è attestata sul livello mediano dei più
ricchi paesi OCSE, giungendo intorno al 65% nel 2010: mentre i paesi più
virtuosi raggiungono ormai livelli dell’80-90%, con la Korea che arriva al 100%”.
Per quanto le
competenze della popolazione adulta, l’OCSE ha recentemente diffuso i dati
emersi dal confronto tra oltre 20 Paesi sviluppati (vedi il Rapporto Skills Outlook 2013)
Questa indagine sulle capacità degli adulti, all’interno
del Programme for the International Assessment of
Adult Competencies (Piaac), si affianca all’ indagine Pisa (Programme for
International Student Assessment) che da tempo fotografa il livello di
preparazione degli studenti.
Guardando alla capacità di literacy (diversi livelli di lettura
e comprensione di un testo complesso), di numeracy,
emerge una
situazione italiana alquanto mortificante e preoccupante.
Mortificante per quel pizzico di orgoglio nazionalista
che ancora ci resta; preoccupante perché, in tempi di crisi economica e
occupazionale, forti cambiamenti tecnologici, evoluzione rapidissima dei
saperi, essere poco più che alfabetizzati rappresenta un handicap di non poco
conto per i singoli e per l’intero “sistema Paese”.
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