Abbiamo conosciuto Luigi
Ballerini l’anno scorso, quando è stato ospite della nostra Associazione, a
Mazzano, in occasione della presentazione del suo libro “E adesso che faccio?”,
dedicato alle dinamiche figli-genitori e alle domande che questi ultimi si
pongono quando si trovano a fare i conti con l’educazione dei propri figli.
Il tema non riguarda solo i nostri bambini, ma interessa un po' tutti noi, con le giornate sempre più fitte di impegni e vissute sempre di corsa, quasi che si abbia paura di quel "tempo libero" che, fino a poco fa, era un lusso e un obiettivo.
E se le giornate sono pesanti per noi adulti, lo sono ancor più per i più piccoli, che vengono ad essere privati del tempo necessario per sedimentare le esperienze e si trovano sballottati tra mille impegni, senza tregua e senza sosta.
Il tema non riguarda solo i nostri bambini, ma interessa un po' tutti noi, con le giornate sempre più fitte di impegni e vissute sempre di corsa, quasi che si abbia paura di quel "tempo libero" che, fino a poco fa, era un lusso e un obiettivo.
E se le giornate sono pesanti per noi adulti, lo sono ancor più per i più piccoli, che vengono ad essere privati del tempo necessario per sedimentare le esperienze e si trovano sballottati tra mille impegni, senza tregua e senza sosta.
Medico e psicanalista, Luigi
Ballerini è noto anche per le sue collaborazioni come pubblicista con Avvenire
e Il Sole-24 ore, dove sempre si occupa delle tematiche scuola-educazione.
In quest’ultimo articolo,
Ballerini concentra l’attenzione sull’uso del tempo che viene “imposto” ai
nostri bambini, quando le giornate sono forsennatamente “schedulate” e non
rimane il minimo spazio temporale che possa essere gestito in autonomia.
E’ un rincorrersi sincopato, tra
mille impegni, dove anche il gioco perde la cifra della “gratuità” per divenire
momento strutturato di apprendimento: il gioco non viene più concepito e
lasciato come momento di libera creatività, ma viene inteso quale momento “educativo”
dove la stessa fantasia dei bambini si trova incanalata in percorsi pre-fissati
e pre-stabiliti.
Articolo breve, dunque, che ci
sembra giusto riprendere per intero qui di seguito:
Overwhelmed, sovraccarichi, si intitola il libro di Brigid Shulte,
giornalista del Washington Post, che ha acceso un dibattito sul tempo
anche da noi. E overwhelmed siamo davvero tutti, a ogni età, bambini e ragazzi
compresi.
Preda
dell'horror vacui siam o tentati di riempire ogni spaziettino delle
nostre agende pur di non avere il rischio di fermarci un attimo. Sotto
l'assedio dell'angoscia, infatti, quell'attimo libero potrebbe essere percepito
come un vuoto insopportabile, un male da cui liberarci, un fastidio da sedare.
E allora via con una bulimia di attività che non vede pari nei tempi passati,
dove la soddisfazione cede il passo
all'efficienza e dove ogni possibile piacere si trasforma automaticamente in
dovere. Ci lamentiamo tanto di questo m odo di vivere che non sopportiamo,
eppure trascuriamo quanto in realtà sia da noi attivamente procurato e
mantenuto.
I
giovani, persino i bambini, hanno spesso giornate che il Ceo di una
multinazionale non invidierebbe loro. Sveglia, scuola, compiti,
calcio-tennis-catechismo-chitarra-inglese, ancora compiti, gioco, cena, doccia-denti-cartella,
televisione-tablet-computer, sonno.
Tutto
programmato, anzi rigidamente schedulato come si usa dire. Ottimizzare il tempo
sembra la parola d'ordine delle nostre giornate, dove ottimizzare significa
unicamente organizzare, farci stare tutto il possibile e se ci riusciamo anche
di più, per un profitto che via via si diluisce fino a smarrirsi del tutto e
sparire. E così in quel tempo che Zygm unt Bauman aveva correttamente definito
liquido finiamo per affogarci dentro davvero.
Pensiamo
un attimo ai bambini. Ne incontro sempre più che alla scuola dell'infanzia
fanno già ripetizioni e lezioni private; la prescrittura e la prelettura sono
ormai diventati dei dogmi pedagogici
indiscutibili,
soprattutto indiscutibili per il fatto che i genitori li reclamano a viva voce,
facendone anche criterio di scelta delle scuole. Occorre anticipare tutto, i
bimbi devono arrivare a scuola sapendo già leggere e scrivere, possibilmente
anche in una seconda lingua. Il pensiero che scorre sotto traccia è che così
avranno più chance, così saranno più bravi e soprattutto saranno già i primi,
perché primi nella vita bisogna per forza essere.
Consideriamo
la diffusione dell'eduteinment, il gioco educativo. Persino il momento
del gioco - libero per sua natura, già di per sé capace di attivare e
sollecitare l'immaginazione, la fantasia, la sperimentazione di panni nuovi e
diversi - ha bisogno di essere invaso e occupato da una preoccupazione
pedagogica.
Allora
ti faccio giocare sì, ma con i giochi educativi che nel contempo ti insegnano
qualcosa, che non ti fanno perdere tempo, che ti portano avanti, che senza che
tu te ne accorga ti istruiscono.
Il
giocattolo, sempre più sofisticato e tecnologico e certificato dagli esperti,
finisce per rendere il gioco un'esperienza unidirezionale, precostituita, a suo
modo ripetitiva pur nella sua (limitata) variabilità, ultimamente prevedibile.
Abbiam o dimenticato come invece i bambini trovino piacere a giocare con i materiali
di risulta degli adulti. Pezzi di stoffa, legnetti, ritagli di pasta, materiali
vari della vita dei grandi, nelle loro mani si trasformano in realtà
magnifiche, imprevedibili, incalcolabili.
Per
loro, come per noi, avere segmenti di tempo non pre-occupato non è una affatto
una maledizione né uno spreco, è l'opportunità di chiedersi cosa si può fare,
l'occasione per farsi venire un'idea in proprio, per farsi venire voglia di
qualcosa. Leggere un libro, ad esempio, sottratto all'imperativo cui viene di
solito associato, si può costituire come un'iniziativa individuale, lo stesso
vale per concedersi di pensare senza necessariamente far agire il corpo.
Dentro
la tentazione funzionalistica che ci assale ogni atto, ogni istante acquisisce
valore solo se orientato a preparare ciò che verrà dopo, in una consunzione
dell'esistenza che sposta continuamente in un luogo altro e in un tempo altro
il momento della soddisfazione. La soddisfazione, invece, è esperienza nel qui
ed ora dell'istante, ha il sapore di una conclusione che permette la
riattivazione del moto, ma non dentro una prospettiva di rimando eterno, quanto
nel rilancio dell'iniziativa.
Permetterci e permettere ai
nostri giovani di vivere bene il tempo è un favore che possiamo farci. Il
moto umano non è un moto
perpetuo, è un moto a metà. E il moto va pensato, costruito, agito e anche assaporato,
nel tempo.
Luigi Ballerini
IL
SUSSIDIARIO, lunedì 7 aprile 2 01 4
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