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Elizabeth Kolbert, giornalista del New Yorker. Riporta così l’esempio
di un liceo dello stato di Washington dove “gli
studenti dovevano scrivere una tesina di otto pagine e fare una presentazione a
voce di dieci minuti prima del diploma. Quando uno studente ha preso un voto
insufficiente a questa prova, i genitori si sono rivolti a un avvocato”
Insomma, osserva la giornalista americana nell’articolo ripreso su Internazionale 1003, oscilliamo tra genitori “elicottero” e “genitori spazzaneve”, che si sono imposti la missione di rimuovere qualunque ostacolo sul cammino dei figli.
Insomma, osserva la giornalista americana nell’articolo ripreso su Internazionale 1003, oscilliamo tra genitori “elicottero” e “genitori spazzaneve”, che si sono imposti la missione di rimuovere qualunque ostacolo sul cammino dei figli.
L’articolo prende spunto da quanto accade presso una
popolazione della foresta amazzonica, dove all’età di sei anni i bambini si
rendono utili anelle faccende della vita quotidiana, senza bisogno che nessuno
glielo chieda.
Situazione molto lontana da noi, è vero. Ma interessante è
vedere ciò che avviene oggi con i bambini della classe media americana, dove “Se
escludiamo la progenie imperiale della dinastia Ming e i delfini della Francia prerivoluzionaria,
i ragazzini statunitensi di oggi sono probabilmente i più viziati nella storia
dell’umanità”.
Non si tratta solo della dotazione di beni materiali (vestiti,
giocattoli, macchine fotografiche, sci, computer, tv, cellulari, PlayStation,
iPod). E’ l’atteggiamento dell’adulto nei confronti del bambino a essere ora
radicalmente mutato, perché “I genitori vogliono l’approvazione dei
figli. È l’opposto dell’ideale di un tempo, quando i figli si sforzavano di essere
approvati dai genitori”.
Accade così che “i
nostri figli hanno semplicemente approfittato della nostra presunzione, delle nostre
buone intenzioni, della nostra eccessiva dedizione, anche se in molti casi il modo migliore per dimostrare
che vogliamo bene ai nostri figli è imparare a essere meno materne e meno paterni”.
E comincia a farsi strada una diversa convinzione tra gli
addetti ai lavori, che potremmo riassumere con il concetto che le
frustrazioni fanno crescere.
Questo, ci spiega E. Kolbert, è il messaggio che ci viene da
Madeline Levine, psicologa di San Francisco, la quale nel suo Teach your children well: parenting for
authentic success sostiene che “ci
diamo troppo da fare per i nostri figli perché sopravvalutiamo la nostra influenza.
Mai quanto oggi i genitori credono (a torto) che ogni loro mossa avrà un
impatto sul successo dei figli” così che, paradossalmente, più ci sforziamo di aiutarli e più li ostacoliamo.
Seguendo l’articolo, sembra che i genitori francesi siano
messi un po’ meglio di quelli della classe media americana. Questa l’opinione
di Pamela Druckerman, ex giornalista del Wall Street Journal, trasferita a
Parigi, secondo cui “i genitori francesi
non temono di danneggiare i figli frustrandoli. Anzi, sono convinti che i figli
saranno danneggiati se non impareranno a gestire la frustrazione”. Nella consapevolezza che “affrontare un no è cruciale nello
sviluppo di un bambino, perché lo obbliga a capire che nel mondo esistono altre
persone, con esigenze forti quanto le sue”.
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