13 giugno 2013

Clima ballerino, da sempre

-Forse eccessivamente minuzioso in alcuni passaggi, ma sicuramente interessante perché organizza in modo organico le conoscenze che già abbiamo sulla mutevolezza climatica nel corso degli ultimi millenni. Questi i limiti (pochi, a dire il vero) e i meriti del volume “Storia culturale del clima”, scritto da Wolfgang Behringer (Docente di Storia all’Università del Saarland, Germania) e pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. 
Le variazioni climatiche che la storia ci conferma, con periodi parecchio più freddi dell’attuale ma anche con lunghi periodi più caldi, non deve essere una scusa per tralasciare o mettere a tacere tutto quel che si dice su effetto serra e riscaldamento globale causati dall’attività umana.
Al contempo, la consapevolezza che abbiamo avuto, in passato, fasi storiche più calde di quella attuale e che tali periodi hanno comportato momenti “felici” per lo sviluppo umano, può esserci d’aiuto per affrontare meglio la questione e tutto ciò che essa porta con sé.

Fin dalle prime pagine del suo lavoro, Behringer evita i giri di parole, quando afferma che “Sebbene possa suonare strano in un contesto dominato dalla discussione sul Riscaldamento Globale, è innegabile che le civiltà superiori poterono formarsi solo grazie al Riscaldamento globale dell'Olocene”. 
Un’era, quella dell’Olocene, che compare nel 1885, al Congresso internazionale dei geologi, per dare un nome al “periodo recentissimo, dal punto di vista geologico, degli ultimi diecimila anni, che si differenziano dall'era glaciale per un clima più mite” (pagg 62-63)
Guardando a quel che ci dicono i carotaggi nel ghiaccio e altri indicatori, a metà dell'Olocene, all'incirca 8000 anni fa, il clima si fece più umido: è questo il “Periodo Interglaciale Medio”: si tratta, osserva lo storico tedesco, “della fase di gran lunga più calda dell'Olocene e ciò ben prima che l'uomo potesse esercitare un qualunque influsso di rilievo sulla natura. Le temperature erano in media di 2-3°C superiori a quelle della fine del XX secolo”. 
Accadde così che “In un'area molto vasta, i ghiacciai si sciolsero, liberando grandi quantità di acqua. Un clima piuttosto umido dominava su un'area che dal Vicino Oriente si estendeva all'India e alla Cina In tutto il mondo il livello dell'acqua, nei mari e nei laghi, era superiore all'attuale... la maggiore umidità fece fiorire l'Africa. Nel Sahara centrale, in cui laghi e fiumi erano numerosi e le piogge frequenti, all'inizio dell'Olocene viveva una fitta popolazione di cacciatori di animali di grossa taglia”. (pag. 69)
Un periodo molto favorevole, dunque, che termina, grosso modo, quando termina l’età del Bronzo e, verso l’800 a.C.,  assistiamo a un peggioramento del clima. 
“Le temperature medie scesero di 1-2°, mentre le quantità di pioggia aumentarono in maniera considerevole... i ghiacciai si estesero e il limite della vegetazione arborea scese, nelle Alpi, addirittura di 300 – 400 metri, cioè fino a un'altitudine pari a quella della fine del XX secolo”. 
L’eccessiva umidità e le temperature più basse portarono a mutamenti anche nell’alimentazione: a quest’epoca risale lo sviluppo delle saline, come avviene nella regione di Salisburgo, “poiché non era più possibile conservare gli alimenti per essicazione. Per conservare la carne occorreva metterla in salamoia” (pag 88-89). 
Al peggioramento climatico che inizia, grosso modo, quando viene fondata Roma, seguirà poi una fase climatica favorevole, tanto da poter parlare di OPTIMUM CLIMATICO DELL'ETA' ROMANA: “Il clima divenne più caldo durante il governo di Augusto, con temperature simili a quelle odierne. Il Vicino Oriente e l'Africa del Nord rimasero regioni piuttosto umide... l'Africa del nord si inaridì solo nel IV sec d. C “(pag. 90) A riprova di ciò, basti considerare che, anche dopo la distruzione di Cartagine, nel 146 a.C., l'Africa rimase per secoli una delle province economicamente più importanti per Roma.
Il periodo climatico mite coincise, grosso modo, con quello dell’età imperiale romana, dal I sec fino a circa il 400 d.C., quando “i valichi alpini transitabili tutto l'annoe LA VITE E L'ULIVO ERANO COLTIVATI MOLTO PIU’ A NORD DELLE ALPI RISPETTO AI SECOLI PRECEDENTI (pag. 92)
Molte sono le cause che portarono al collasso dell’Impero romano e tra queste va forse messo anche il peggioramento climatico: “Sebbene ci siano alcune divergenze riguardo alla datazione, la maggior parte degli studiosi è d'accordo nel ritenere che nella tarda antichità il clima sia peggiorato... questo pessimum medievale avrebbe causato un raffreddamento di 1-1,5°. I ghiacciai si estesero e in Europa centrale il limite della vegetazione arborea si abbassò anche di 200 metri” (pag. 96)
A questo proposito, il grande storico medievista francese George Duby ha parlato, a proposito dell'Alto Medioevo, di un “ambiente ostile” e di un “lungo periodo freddo e umido”

Questo durò, su per giù, fino all’anno Mille, quando subentra una nuova fase climatica, l’Interglaciale del Basso Medioevo (ca 1000-1300), dove si assiste non solo alla ripresa dell’economia e della società europea, ma anche al verificarsi di condizioni climatiche più favorevoli rispetto ai secoli precedenti. 
Durante quest'epoca le estati calde e secche erano frequenti, così come gli inverni miti... stiam il riscaldamento medievale in 1-2° in più rispetto alla media del periodo “normale” 1931-1960, con punte di 4° C nel profondo nord. I resoconti di quel periodo non parlano quasi mai di iceberg tra l'Islanda e la Groenlandia” e il ritirarsi dei grandi ghiacciai tra il 900 e il 1300 appare provato non solo per l'Europa e l'America del Nord, ma per tutto il mondo. (pag.108)
Sulle Alpi il limite della vegetazione arborea “salì oltre i 2000 metri, un valore che, pur non eguagliando quello dell'optimum dell'età del Bronzo, è comunque superiore a quello del XX secolo. In Germania si produce vino... non solo nelle zone di coltivazione già romane... ma anche molto più a nord e persino nelle regioni meridionali della Scozia e della Norvegia

Le analisi dei pollini hanno mostrato che nel Basso Medioevo in Norvegia si coltivavano alcuni tipi di cereali che in seguito, quando le temperature cominciarono a scendere, non attecchirono più” (pag. 112-113)
Altra conferma del miglioramento climatico ci è data dalla colonizzazione della Groenlandia, iniziata con EriK il Rosso (950-1005) che nel 985 si mise in viaggio con 25 navi, con coloni, sementi, bestiame. 
“Quando l'Interglaciale raggiunse il suo livello massimo, in Groenlandia era possibile persino coltivare alcuni tipi di cereali.
In questo periodo i tratti di mare tra Norvegia, Islanda e Groenlandia erano liberi dai ghiacci tutto l'anno. In Groenlandia Erik fondò un complesso di insediamenti destinato a durare... scavi recebti vi hanno individuato circa 450 fattorie (pag.119)
A partire dal XIV secolo, ancora una volta, le condizioni climatiche cambiano e entriamo in quella che gli studiosi chiamano PICCOLA ERA GLACIALE, che si estende fino alla fine dell’Ottocento e in cui si assiste all'avanzamento dei ghiacci sulle Alpi, in Scandinavia e in Nord America...
Anche prima del cataclisma rappresentato dalla peste nera di metà Trecento, fanno la loro comparsa, qua e là, gli affreschi che celebrano il trionfo della Morte, a segnare il peggioramento delle condizioni generali e la maggior precarietà della vita. Per tutta l’Età Moderna, dunque, il clima fu piuttosto rigido, molto più freddo di quanto si registrò nei periodi di OPTIMUM crrispondneti all’Età del Bronzo, al periodo dell’Impero Romano, al Basso Medioevo.
Periodi caldi, come e più di questi ultimi decenni, che coincidono con condizioni di vita più facili e serene, che favorirono l’ espansione dell’attività umana. Temperature più elevate, ghiacciai in forte ritirata, mari del nord navigabili tutto l’anno… e questo ben prima di qualsiasi apprezzabile impatto derivante dalle attività umane.

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