5 marzo 2013

Un magistrato di sinistra contro i "giudici star"

-Al congresso di Magistratura Democratica, l'1 Febbraio scorso, LUIGI FERRAJOLI, tra i più importanti giuristi italiani, già magistrato e professore di Filosofia del diritto, è intervenuto con riflessioni davvero interessanti su quel che dovrebbe essere il potere giudiziario, declinando nove regole che ci sembra opportuno riprendere nei punti salienti, perchè davvero utili per farsi un'idea su queste tematiche tanto importanti, tanto dibattute e tanto strumentalizzate da tutte le parti in campo.
A rendere interessante l'intervento, oltre all'autorevolezza scientifica dell'autore è la sua stessa collocazione all'interno dell'Associazione Nazionale Magistrati, essendo egli uno dei fondatori della corrente più di sinistra di Magistratura Democratica.
Secondo Ferrajoli, a cominciare da Mani Pulite, «la difesa incondizionata della giurisdizione ha finito per generare (…), anche, purtroppo, tra molti giudici, la concezione del potere giudiziario come potere buono e salvifico», spesso facendo «trascurare, o peggio avallare prassi giudiziarie illiberali e antigarantiste, in contrasto con quella stessa legalità che esse pretendono di difendere».
Venendo ai giorni nostri, tranciante è la critica verso la figura del “giudice star”, visto come “negazione del modello garantista della giurisdizione”. Soprattutto è inammissibile che i magistrati parlino in pubblico, e meno che mai in televisione, dei processi loro affidati. E invece “abbiamo assistito in questi mesi a trasmissioni televisive desolanti, nelle quali dei pubblici ministeri parlavano dei processi da loro stessi istruiti, sostenevano le loro accuse...”
Altrettanto grave è il conseguente “populismo giudiziario”, che “diventa intollerabile allorquando serve da trampolino per carriere politiche”
E guardando a recenti casi giudiziari, come quello della trattativa Stato-mafia, Ferrajoli non lesina certo le accuse verso un certo modo di interpretare l'azione giudiziaria: “...nel famoso processo sulla trattativa Stato-mafia, non esistendo nel nostro ordinamento il reato di trattativa, mi è difficile capire come si possa, senza ledere il principio di tassatività e il divieto di analogia, accomunare nel reato di minaccia a corpo politico sia gli autori della minaccia, sia quanti ne furono i destinatari o i tramiti o le vittime designate. Ovviamente possiamo ben considerare quella trattativa un fatto gravissimo di deviazione politica. Ma di responsabilità politica appunto si tratta. E la separazione dei poteri va difesa non solo dalle indebite interferenze della politica nell’attività giudiziaria, ma anche dalle indebite interferenze della giurisdizione nella sfera di competenza della politica”
Da qui la necessità e l'urgenza di «ridefinire una deontologia giudiziaria», che dovrebbe basarsi su nove regole che riportiamo abbreviando per necessità e cercando di citare le parti più pregnanti e utili a comprendere alcuni limiti dell'azione giudiziaria oggi, in Italia.
PRIMA. La consapevolezza del carattere “terribile” e “odioso” del potere giudiziario.
Consiste nella consapevolezza, che sempre dovrebbe assistere qualunque giudice o pubblico ministero, che il potere giudiziario è un «potere terribile», come lo chiamò Montesquieu (De l’esprit des lois, 1748) .. perché, diversamente da qualunque altro pubblico potere – legislativo, politico o amministrativo – è un potere dell’uomo sull’uomo, che decide della libertà ed è perciò in grado di rovinare la vita delle persone sulle quali è esercitato.
SECONDA. La consapevolezza del carattere relativo e incerto della verità processuale e perciò di un margine irriducibile di illegittimità dell’esercizio della giurisdizione.
...la verità processuale è sempre una verità relativa e approssimativa... anche la legittimazione del potere giudiziario – come del resto la legittimazione di qualunque altro potere pubblico, a cominciare dalla rappresentatività dei poteri politici – è sempre, a sua volta, relativa e approssimativa. (…)
TERZA. Il valore del dubbio e la consapevolezza della permanente possibilità dell’errore in fatto e in diritto.
La terza regola della deontologia giudiziaria riguarda l’accertamento della verità fattuale, e consiste nel costume e nella pratica del dubbio conseguente a una terza consapevolezza: che la verità processuale fattuale non è mai una verità assoluta o oggettiva... il rifiuto di ogni arroganza cognitiva, la prudenza del giudizio – da cui il bel nome “giuris-prudenza” – come stile morale e intellettuale della pratica giudiziaria e in generale delle discipline giuridiche.
QUARTA. La disponibilità all’ascolto delle opposte ragioni e l’indifferente ricerca del vero.
...Il giudizio, come scrissero Cesare Beccaria e ancor prima Ludovico Muratori, deve consistere «nell’indifferente ricerca del vero». È su questa indifferenza, che è propria di ogni attività cognitiva e comporta la costante disponibilità a rinunciare alle proprie ipotesi di fronte alle loro smentite, che si fonda il processo che Beccaria chiamò «informativo», in opposizione a quello che chiamò invece «processo offensivo», nel quale, egli scrisse, «il giudice diviene nemico del reo» e «non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia, e crede di perdere se non vi riesce, e di far torto a quell’infallibilità che l’uomo s’arroga in tutte le cose» (Dei delitti e delle pene, 1766).
QUINTA. La comprensione e la valutazione equitativa della singolarità di ciascun caso.
Questa dimensione riguarda la comprensione e la valutazione delle circostanze singolari e irripetibili che fanno di ciascun fatto, di ciascun caso, di ciascuna vicenda sottoposta a giudizio un fatto e un caso irriducibilmente diversi da qualunque altro... Ed è chiaro che la comprensione del contesto, delle concrete circostanze, delle ragioni singolari del fatto comporta sempre un atteggiamento di indulgenza, soprattutto a favore dei soggetti più deboli.
SESTA. Il rispetto di tutte le parti in causa.
La sesta regola deontologica è il rispetto per le parti in causa, incluso l’imputato, chiunque esso sia, soggetto debole o forte, incluso il mafioso o il terrorista o il politico corrotto. Il diritto penale nel suo modello garantista equivale alla legge del più debole. E non dimentichiamo che se nel momento del reato il soggetto debole è la parte offesa, nel momento del processo il soggetto debole è sempre l’imputato e i suoi diritti e le sue garanzie sono altrettante leggi del più debole.
...si giudica il fatto e non la persona, il reato e non il suo autore, la cui identità e interiorità sono sottratte al giudizio penale.
SETTIMA. La capacità di suscitare la fiducia delle parti, anche degli imputati.
Il magistrato non deve cercare il consenso della pubblica opinione: un giudice deve anzi essere capace, sulla base della corretta cognizione degli atti del processo, di assolvere quando tutti chiedono la condanna e di condannare quando tutti chiedono l’assoluzione.
Le sole persone di cui i magistrati devono riuscire ad avere non già il consenso, ma la fiducia, sono le parti in causa e principalmente gli imputati: fiducia nella loro imparzialità, nella loro onestà intellettuale, nel loro rigore morale, nella loro competenza tecnica e nella loro capacità di giudizio.
OTTAVA. Il valore della riservatezza del magistrato riguardo ai processi di cui è titolare.
L’ottava regola, connessa alla settima, è una regola di sobrietà e riservatezza. Ciò che i magistrati devono evitare con ogni cura, nell’odierna società dello spettacolo, è qualunque forma di protagonismo giudiziario e di esibizionismo.
Si capisce la tentazione, per quanti sono titolari di un così terribile potere, della notorietà, dell’applauso e dell’autocelebrazione come potere buono. Ma questa tentazione vanagloriosa deve essere fermamente respinta.
NONA. Il rifiuto anche solo del sospetto di una strumentalizzazione politica della giurisdizione.
...non dar luogo neppure al più lontano sospetto di una strumentalizzazione politica della giurisdizione. Oggi (a inizio febbraio, prima delle elezioni...) l’immagine della magistratura presso il grande pubblico rischia di identificarsi con quella di tre pubblici ministeri divenuti noti per le loro inchieste, i quali hanno dato vita a una lista elettorale capeggiata da uno di loro, promossa da un altro con il contributo del partito personale del terzo. È un’immagine deleteria, che compromette la credibilità della magistratura, oltre che delle stesse inchieste che hanno reso noti quei magistrati.
...è sufficiente il semplice sospetto che l’attività giudiziaria o anche solo la notorietà acquisita attraverso i processi siano strumentalizzate a fini politici ed elettorali a giustificare una più rigorosa disciplina della partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali. 

-Nato a Firenze nel 1940, Luigi Ferrajoli è forse oggi il maggiore teorico del diritto italiano. Dopo aver fatto il magistrato e aver contribuito a fondare Magistratura democratica, è stato professore di Filosofia del diritto, prima a Camerino e poi a Roma 3. Fra le sue opere possono ricordarsi almeno Teoria assiomatizzata del diritto (Giuffrè, 1970), Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale (Laterza, 1989) e l’ultima monumentale Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia (Laterza, 2008).
Alterna al lavoro teorico e alle conferenze in ogni parte del mondo l’intervento puntuale su temi civili, in particolare dalle colonne del quotidiano «il manifesto». - 

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