-Interessante articolo di Massimo Gaggi sul supplemento
domenicale “La lettura” del Corriere
di domenica 17 marzo, dedicato ai
cambiamenti/sconvolgimenti che ci attendono per quel che riguarda il mondo
della produzione e del lavoro (http://lettura.corriere.it/debates/verso-la-civilta-del-dopolavoro/
)
“Fin qui si è creduto che ogni innovazione che distrugge posti di lavoro in un settore ne crea molti altri in campi diversi, spesso nuovi” e questo lo si è visto, per riprendere un esempio ormai classico, “quando il motore a vapore ha lasciato disoccupati gli stallieri, ma ha creato l’industria ferroviaria”.
“Fin qui si è creduto che ogni innovazione che distrugge posti di lavoro in un settore ne crea molti altri in campi diversi, spesso nuovi” e questo lo si è visto, per riprendere un esempio ormai classico, “quando il motore a vapore ha lasciato disoccupati gli stallieri, ma ha creato l’industria ferroviaria”.
Al contrario, assistiamo oggi a fenomeni assolutamente nuovi
e dirompenti, con la tecnologia che
sostituisce sempre più il lavoro umano ma non ne crea di nuovo. E non
serve, a fronte di questo, accusare la globalizzazione come la causa prima: “ormai molte produzioni delocalizzate in
Asia stanno tornando in Occidente. Solo che finiscono in fabbriche automatiche,
mentre ormai i robot sostituiscono gli operai anche nei Paesi a basso costo del
lavoro, come India e Cina”.
Dobbiamo rassegnarci al “venir
meno di molti mestieri e professioni ormai svolti dalle macchine”: davvero
sta per avverarsi l’era dei robot che sostituiscono l’uomo anche in compiti che
abbiamo sempre considerato “umani”. Non si tratta più, ormai, dei robot che
verniciano le scocche delle automobili o assemblano i vari componenti tra loro.
In Giappone vediamo operativi i robot che assistono gli anziani negli ospedali
e la General Elettric
produce congegni cingolati che “gironzolano
sulle piste degli aeroporti, fermandosi di tanto in tanto a ispezionare i
motori dei jet appena arrivati”.
Marc Andressen |
Prospettive assolutamente rivoluzionarie anche per le
professioni che in Italia definiamo “liberali”, se pensiamo che “decine di milioni di americani preparano la
dichiarazione dei redditi facendo a meno del commercialista” grazie a
programmi come TurboTax e TaxAct. Per quel che riguarda la medicina, vediamo il
supercomputer IBM “Watson” lavorare a fianco degli oncologi “negli ospedali più avanzati d’America”,
con la prospettiva di poterli anche sostituire, visto che “le sue diagnosi risultano più accurate, basate come sono sull’esame
comparato di una casistica infinita”.
Dal punto di vista sociale, lo scenario che si apre davanti
a noi è quello inquietante della scomparsa
del ceto medio: la concorrenza dei bassi salari dei Paesi emergenti ha, di fatto, ormai “proletarizzato” la middle
class che ore, secondo molti analisti “verrebbe
definitivamente spazzata via dalla rivoluzione tecnologica” ora che l’intelligenza
artificiale delle macchine si sostituisce sempre più spesso in lavori e
mansioni sempre più sofisticate.
Provocatoria, ma forse non troppo, l’affermazione di Marc Andressen (co-autore di Mosaic,
co-fondatore di Netscape e tutt’ora molto attivo nei dintorni di Cupertino), secondo, cui in futuro “ci saranno solo due tipi di posti di
lavoro: quelli in cui dici al computer cosa fare e quelli nei quali è un
computer a dirti quello che devi fare”.
Serge Latouche |
E non è il solo Andreessen ad avvertire che “i paradigmi del lavoro, dello sviluppo e
del benessere che abbiamo conosciuto finora sono destinati a cambiare più di
quanto non immaginiamo”.
Come conseguenza, “la politica deve prepararsi ad affrontare
un quadro profondamente diverso rispetto ai paradigmi del passato: un sistema
più produttivo, ma che forse non richiederà più enormi volumi di lavoro”.
Jeremy Rifkin |
Facile e immediato chiedersi cosa potremo fare a fronte di
tutto ciò e le ricette in circolazione non mancano. Jeremy Rifkin, nel 1995, con il saggio “La fine del lavoro”, fu tra i
primi a porre in tutta evidenza gli impatti delle nuove tecnologie
sull’occupazione. Tra le ricette più recenti, merita di essere ricordata la
“decrescita” di Serge Latouche.
“Un quadro incerto e
frastagliato – conclude
Massimo Gaggi - complicato anche dal
fatto che la politica viene chiamata a rompere schemi consolidati, a tentare
svolte coraggiose e anche a rischiare qualche salto nel buio, proprio mentre
quasi tutte le democrazie liberali dell’Occidente vivono processi di
sfaldamento e un indebolimento di tutti i poteri”.
Massimo Gaggi, editorialista e inviato a Ney York per il Corriere della Sera.
Marc
Andressen, co-autore di Mosaic, co-fondatore di Netscape agli albori dell’era
Internet e recentemente co-fondatore di Ning, che fornisce una piattaforma per
la creazione di siti di reti sociali.
Jeremy Rifkin, tra
i suoi lavori più recenti ricordiamo “La civiltà dell’empatia”, successivo a
“Economia all’idrogeno”.
Serge Latouche, economista e
filosofo francese, propone una nuova visione dell’economia, avversa al
consumismo e che guarda alla decrescita e al localismo
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