22 marzo 2013

Nuove tecnologie e scomparsa del lavoro

-Interessante articolo di Massimo Gaggi sul supplemento domenicale “La lettura” del Corriere di domenica 17 marzo, dedicato ai cambiamenti/sconvolgimenti che ci attendono per quel che riguarda il mondo della produzione  e del lavoro (http://lettura.corriere.it/debates/verso-la-civilta-del-dopolavoro/ ) 
Fin qui si è creduto che ogni innovazione che distrugge posti di lavoro in un settore ne crea molti altri in campi diversi, spesso nuovi” e questo lo si è visto, per riprendere un esempio ormai classico,  “quando il motore a vapore ha lasciato disoccupati gli stallieri, ma ha creato l’industria ferroviaria”.
Al contrario, assistiamo oggi a fenomeni assolutamente nuovi e dirompenti, con la tecnologia che sostituisce sempre più il lavoro umano ma non ne crea di nuovo. E non serve, a fronte di questo, accusare la globalizzazione come la causa prima: “ormai molte produzioni delocalizzate in Asia stanno tornando in Occidente. Solo che finiscono in fabbriche automatiche, mentre ormai i robot sostituiscono gli operai anche nei Paesi a basso costo del lavoro, come India e Cina”.
Dobbiamo rassegnarci al “venir meno di molti mestieri e professioni ormai svolti dalle macchine”: davvero sta per avverarsi l’era dei robot che sostituiscono l’uomo anche in compiti che abbiamo sempre considerato “umani”. Non si tratta più, ormai, dei robot che verniciano le scocche delle automobili o assemblano i vari componenti tra loro. In Giappone vediamo operativi i robot che assistono gli anziani negli ospedali e la General Elettric produce congegni cingolati che “gironzolano sulle piste degli aeroporti, fermandosi di tanto in tanto a ispezionare i motori dei jet appena arrivati”.
Marc Andressen
Prospettive assolutamente rivoluzionarie anche per le professioni che in Italia definiamo “liberali”, se pensiamo che “decine di milioni di americani preparano la dichiarazione dei redditi facendo a meno del commercialista” grazie a programmi come TurboTax e TaxAct. Per quel che riguarda la medicina, vediamo il supercomputer IBM “Watson” lavorare a fianco degli oncologi “negli ospedali più avanzati d’America”, con la prospettiva di poterli anche sostituire, visto che “le sue diagnosi risultano più accurate, basate come sono sull’esame comparato di una casistica infinita”.
Dal punto di vista sociale, lo scenario che si apre davanti a noi è quello inquietante della scomparsa del ceto medio: la concorrenza dei bassi salari dei Paesi emergenti  ha, di fatto, ormai “proletarizzato” la middle class che ore, secondo molti analisti “verrebbe definitivamente spazzata via dalla rivoluzione tecnologica” ora che l’intelligenza artificiale delle macchine si sostituisce sempre più spesso in lavori e mansioni sempre più sofisticate.
Provocatoria, ma forse non troppo, l’affermazione di Marc Andressen (co-autore di Mosaic, co-fondatore di Netscape e tutt’ora molto attivo nei dintorni di Cupertino), secondo, cui in futuro “ci saranno solo due tipi di posti di lavoro: quelli in cui dici al computer cosa fare e quelli nei quali è un computer a dirti quello che devi fare”.
Serge Latouche
E non è il solo Andreessen ad avvertire che “i paradigmi del lavoro, dello sviluppo e del benessere che abbiamo conosciuto finora sono destinati a cambiare più di quanto non immaginiamo”.
Come conseguenza, “la politica deve prepararsi ad affrontare un quadro profondamente diverso rispetto ai paradigmi del passato: un sistema più produttivo, ma che forse non richiederà più enormi volumi di lavoro”.
Jeremy Rifkin
Facile e immediato chiedersi cosa potremo fare a fronte di tutto ciò e le ricette in circolazione non mancano. Jeremy Rifkin, nel 1995, con il saggio “La fine del lavoro”, fu tra i primi a porre in tutta evidenza gli impatti delle nuove tecnologie sull’occupazione. Tra le ricette più recenti, merita di essere ricordata la “decrescita”  di Serge Latouche.
“Un quadro incerto e frastagliato – conclude Massimo Gaggi - complicato anche dal fatto che la politica viene chiamata a rompere schemi consolidati, a tentare svolte coraggiose e anche a rischiare qualche salto nel buio, proprio mentre quasi tutte le democrazie liberali dell’Occidente vivono processi di sfaldamento e un indebolimento di tutti i poteri”.

Massimo Gaggi, editorialista e inviato a Ney York per il Corriere della Sera.
Marc Andressen, co-autore di Mosaic, co-fondatore di Netscape agli albori dell’era Internet e recentemente co-fondatore di Ning, che fornisce una piattaforma per la creazione di siti di reti sociali.
Jeremy Rifkin, tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “La civiltà dell’empatia”, successivo a “Economia all’idrogeno”.
Serge Latouche, economista e filosofo francese, propone una nuova visione dell’economia, avversa al consumismo e che guarda alla decrescita e al localismo

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