-Anche nel caso dei tragici avvenimenti siriani, l'informazione ci arriva “a senso unico” e dai nostri media è ben difficile cogleire la complessità della situazione. Interessante, a questo proposito, il reportage di Rodolfo CASADEI, sull'ultimo
numero di Tempi, che spiega bene come “Le atrocità nella guerra
civile siriana non stanno tutte da una parte sola. Cercare di farlo
credere da parte del nostro e di altri governi equivale a manipolare
l’opinione pubblica e a offendere l’intelligenza dei cittadini”.
Senza
alcuna attenuante il giudizio sulle atrocità commesse dall'esercito o dalle forze
paramilitari: “Fatti come il massacro di donne e bambini a Houla da
parte di forze paramilitari, l’eccidio di persone in fila al forno
di Hama, l’arresto e la detenzione in condizioni tremende di
migliaia di oppositori veri o presunti... sono atti e decisioni che
pesano come macigni sulla coscienza e sulla credibilità delle forze
governative. Ma immaginare che dall’altra parte della barricata
viga un grande senso di umanità, è la fantasia di qualcuno che o ci
è, o ci fa”.
A
questo proposito, appare forse stonata e sicuramente sbilanciata la
posizione del nostro Ministero degli Esteri, insieme al resto dei
Paesi “Amici della Siria”, che appoggiano, alcuni politicamente e
altri anche militarmente, i ribelli della Coalizione nazionale
siriana. Già da tempo sono insistenti gli appelli per una qualche forma di intervento a favore della popolazione inerme, vittima delle truppe governative: non si è ancora giunti all'interveto militare per la compessa e ingarbugliata situazione locale e per la forte vicinanza del regime siriano con l'Iran.
Va riconosciuto che, oltre
alla parzialità di fronte ai crimini di guerra e alle sofferenze dei
civili, gli “Amici della Siria” sembrano non vedere le “cattive
abitudini” dei «combattenti dalla barba lunga» (le forze
anti-regime) che non si limitano a passare per le armi i prigionieri
disarmati, ma si "ingegnano di far esplodere autobombe in zone
densamente abitate".
In
Siria, la minoranza alawita (11% della popolazione) monopolizza i
ruoli chiave del potere, come la presidenza della repubblica, gli
alti gradi delle forze armate e i gangli chiave dei servizi di
sicurezza. Va,
tuttavia, riconosciuto che il regime siriano, in tutti gli altri
ruoli della funzione pubblica, ha praticato una politica di unità
nazionale, che fa sì che insegnanti, impiegati statali, addetti alla
sanità pubblica, eccetera, provengano da tutte le religioni ed etnie
del paese senza discriminazione alcuna a sfavore della maggioranza
sunnita (60% dei Siriani).
Certamente
il plebiscito delle elezioni del 2007 a favore di Bashar el-Assad è
frutto di brogli elettorali, ma non si può nemmeno pensare che oggi
la maggioranza dei siriani gli sia contraria: “La popolazione è
innanzitutto esausta, dopo venti mesi di combattimenti che hanno
prodotto lutti, distruzioni, 800 mila profughi all’estero e 2
milioni di sfollati interni. In un certo senso, accetterebbe
qualunque soluzione pur di tornare a vivere normalmente. Se fosse
chiamata alle urne domani mattina probabilmente si spaccherebbe a
metà, ma concedendo ancora un leggero vantaggio al presidente
uscente”.
Non
deve essere dimenticata, quando si guarda alla guerra civile siriana,
la forte connotazione sunnita che “appare in filigrana nei
programmi di Fratelli Musulmani, salafiti e jihadisti avversari
dell’attuale governo” ed è forse il più potente fattore di
coesione del fronte filo-governativo.
Così conclude la sua analisi, Rodolfo Casadei: “Alawiti e sciiti (insieme il 13 per cento della popolazione) combattono spalle al muro, nella certezza che in caso di sconfitta per loro non ci sarà alcuna pietà; cristiani e drusi (un altro 13 per cento della popolazione) meditano la fuga dal paese, temendo che un nuovo governo di tendenza più o meno islamista non garantirà loro la dignità e il rispetto di cui finora hanno goduto; i curdi (9 per cento della popolazione) sia in caso di sopravvivenza del regime sia della sua caduta non accetteranno un sistema in cui la loro autonomia non sia finalmente riconosciuta”.
Tra le notizie sottaciute o non sufficientemente messe in risalto dai
nostri media, dunque,vi è anche il conflitto interno al mondo
islamico, che vede prese di mira e fatte oggetto di attentati le
comunità sciite presenti in Irak, Afganistan, Pakistan, ben oltre il
solo Iran, retto dagli Imam di Teheran. Numerosi e non certo
episodici gli attacchi e gli attentati contro gli Sciiti e non è
difficile immaginare una sorta di unica regia che fa capo al mondo
sunnita che trova nell'Arabia Saudita il proprio regime di
riferimento. Tutto da dimostrare che quello sunnita sia da
considerarsi come l'Islam più
lontano dalle tentazioni dell'integralismo... come certa parte di
stampa sembrerebbe volerci far credere.
Solo
per riportare gli attentati degli ultimi mesi:
4
marzo - Adnkronos/Aki
La
citta' di Karachi e' paralizzata all'indomani della strage di sciiti
costata la vita a 52 persone...
17
febbraio 2013
Otto
autobomba sono esplose stamane in zone sciite della capitale irachena
Baghdad, uccidendo almeno 28 persone e ferendone alcune decine...
LA
STAMPA 16 febbraio – La Stampa
Il
movimento terroristico Lashkar-e-Jhangvi ha rivendicato l’attentato
È
salito ad almeno 47 morti e 100 feriti il bilancio della forte
esplosione avvenuta a Quetta... Nel mirino ci sarebbe la comunità
sciita.
8
febbraio - AGI
E'
di almeno 21 morti e oltre quaranta feriti il bilancio complessivo di
un'ennesima ondata di attentati dinamitardi contro la comunita'
sciita in Iraq...
6
dicemre 2012 - Adnkronos/Ign
E'
di oltre 50 morti e di 150 feriti, il primo bilancio dell'attentato
compiuto questa mattina contro una moschea sciita di Kabul.
22
novembre 2012 - Euronews
Un
kamikaze ha fatto strage durante una processione a Rawalpindi. Almeno
23 i civili uccisi, 62 i feriti, tra i quali otto bambini.
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