20 gennaio 2013

Le grandi belve di Davos


-Si terrà a giorni, dal 23 al 27 gennaio (il titolo sarà “Resilient dynamism”, vallo a sapere cosa significa) tra le montagne incantate della Svizzera, l'ormai tradizionale vertice di DAVOS, dove il gotha mondiale (di finanza e politica congiunte) si incontra per scambiarsi opinioni e informazioni e stabilire strategie per il “nostro” futuro.
L'ultimo numero di Internazionale pubblica un bel reportage di due giornalisti francesi che hanno potuto “vivere” il meeting dello scorso anno dall'interno e ci rendono un bel quadro di questo capitalismo finanziario ossessionato dal profitto, insensibile alle sue conseguenze sociali e alle vertiginose disuguaglianze che contribuisce ad accentuare da trent’anni, senza nessuna regolamentazione.   

SI tratta di “che considera gli stati come un’eredità sovietica, ma che conta su di loro per essere aiutato quando gira il vento, e che di crisi in crisi trascina i paesi occidentali verso un naufragio nel quale le classi medie sembrano destinate ad affogare, mentre i responsabili vengono salvati in elicottero".  
Davos è una sorta di Versailles di questa aristocrazia dei tempi nostri che, come tutte le aristocrazie, non ha nessuna idea o ha solo delle idee astratte di come vive la gente comune”.
Certamente, non mancano, anzi, vengono esibite le intenzioni di agire a favore dell'umanità intera, all'insegna del motto di “fare il massimo del profitto e poi il massimo del bene oppure, per i più raffinati, fare il massimo del bene facendo il massimo del profitto” tanto che tra i presenti sono ben pochi coloro che non hanno dato vita ad una propria fondazione caritatevole. Clicca qui x l'articolo integrale in pdf
E la filantropia rientra appieno nella “mission” di queste grandi belve... sinceramente convinti che la loro ingegneria finanziaria e filantropica – per loro è la stessa cosa – sia l’unico modo per assicurare quel famoso cambiamento di paradigma che annuncia l’età dell’oro”.
Molti dei presenti pensano che se le elite guadagneranno denaro, più ne dovranno “ridistribuire” ai poveri, senza essere sfiorati dall’idea che non sarebbe male se i poveri potessero guadagnare anche loro un po’ di denaro e non dipendessero dalla buona volontà dei ricchi.
Un diffuso “profumo di new age” avvolge le conversazioni che si susseguono tra i potenti qui convenuti, in questo meeting di maschi dominanti con vestiti su misura” e vista da qui, la nostra crisi che sta maciullando le nostre classi medie, è ben bilanciata da quel che accade ai paesi emergenti, per i quali “il nostro disastro è il loro trionfo. In altre parole, se nel tempo in cui cinque cinesi o indiani passano dalla povertà alla classe media, due europei o statunitensi fanno la strada inversa, ebbene non è un cattivo affare”.
L’unico problema è che questo, a noi vecchie e imbolsite nazioni occidentali non farà piacere: “noi eravamo i ricchi e loro i poveri, ma la situazione sta cambiando. E Davos è così appassionante proprio perché si assiste a questa mutazione come in laboratorio.
Davos, 2011 - Melinda Gates con Bono
E la prospettiva che ci attende, vista dalle vette del vertice di Davos, non è certo allettante: “I vostri paesi stanno diventato il nuovo terzo mondo. Sì, i vostri piccoli risparmi si stanno volatilizzando. E se ci sarà una nuova rivoluzione del 1789, non sarà quella del 99 per cento di occidentali medi contro l’1 per cento di occidentali ricchi, ma quella degli ex dannati della Terra contro i loro ex padroni coloniali, cioè voi”.
Ecco allora che tutti sottolineano che “l’Africa, considerata non paese per paese ma come continente, ha in media il 6 per cento di crescita e che non vuole fermarsi qui” e ricordano le lezioni che per decenni il Fondo monetario internazionale, gli Stati Uniti e l’Europa hanno inflitto all’Africa sull’indebitamento, con il sottinteso che ora tocca a noi occidentali sforbiciare di brutto l'indebitamento dei nostri Paesi.
Sbagliatissimo, visto da qui, parlare di Africa povera: quel che traspare, piuttosto, è un'Europa inarrestabilmente in declino a fronte di un ex-terzomondo in frenetica ascesa. E il capitale investe dove attende di avere ritorni sicuri, che possono esserci solo laddove i trend economici sono in ascesa. Come dire che la vecchia Europa non è certo un cavallo su cui scommettere o su cui il capitale internazionale è più disposto a mettere a rischio le proprie ricchezze.


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