L'ultimo
numero di Internazionale pubblica un bel reportage di due giornalisti
francesi che hanno potuto “vivere” il meeting dello scorso
anno dall'interno e ci rendono un bel quadro di questo
“capitalismo finanziario ossessionato dal profitto,
insensibile alle sue conseguenze sociali e alle vertiginose disuguaglianze che contribuisce ad accentuare da trent’anni, senza
nessuna regolamentazione”.
SI tratta di “che considera gli stati come un’eredità sovietica, ma che conta su di loro per essere aiutato quando gira il vento, e che di crisi in crisi trascina i paesi occidentali verso un naufragio nel quale le classi medie sembrano destinate ad affogare, mentre i responsabili vengono salvati in elicottero".
Davos
è una sorta di Versailles di questa aristocrazia dei tempi nostri
che, come tutte le aristocrazie, “non ha nessuna idea
o ha solo delle idee astratte di come vive la gente
comune”.
Certamente,
non mancano, anzi, vengono esibite le intenzioni di agire a favore
dell'umanità intera, all'insegna del motto di “fare il
massimo del profitto e poi il massimo del bene oppure, per i più
raffinati, fare il massimo del bene facendo il massimo del profitto”
tanto che tra i presenti sono ben pochi coloro che non hanno dato
vita ad una propria fondazione caritatevole. Clicca qui x l'articolo integrale in pdf
E
la filantropia rientra appieno nella “mission” di queste “grandi
belve... sinceramente convinti
che la loro ingegneria finanziaria e filantropica – per loro è la
stessa cosa – sia l’unico modo per assicurare quel famoso
cambiamento di paradigma che annuncia l’età dell’oro”.
Molti
dei presenti pensano che se le elite guadagneranno denaro, più ne
dovranno “ridistribuire” ai poveri, senza essere sfiorati
dall’idea che non sarebbe male se i poveri potessero guadagnare
anche loro un po’ di denaro e non dipendessero dalla buona volontà
dei ricchi.
Un
diffuso “profumo di new age” avvolge le conversazioni che si
susseguono tra i potenti qui convenuti, in questo meeting “di
maschi dominanti con vestiti su misura” e
vista da qui, la nostra crisi che sta maciullando le nostre classi
medie, è ben bilanciata da quel che accade ai paesi
emergenti, per i quali “il nostro disastro è il loro
trionfo. In altre parole, se nel tempo in cui cinque cinesi o indiani
passano dalla povertà alla classe media, due europei o statunitensi
fanno la strada inversa, ebbene non è un cattivo affare”.
L’unico
problema è che questo, a noi vecchie e imbolsite nazioni occidentali
non farà piacere: “noi eravamo i ricchi e loro i poveri, ma la
situazione sta cambiando. E Davos è così appassionante proprio
perché si assiste a questa mutazione come in laboratorio.
Davos, 2011 - Melinda Gates con Bono |
E
la prospettiva che ci attende, vista dalle vette del vertice di
Davos, non è certo allettante: “I vostri paesi stanno diventato
il nuovo terzo mondo. Sì, i vostri piccoli risparmi si stanno
volatilizzando. E se ci sarà una nuova rivoluzione del 1789, non
sarà quella del 99 per cento di occidentali medi contro l’1 per
cento di occidentali ricchi, ma quella degli ex dannati della Terra
contro i loro ex padroni coloniali, cioè voi”.
Ecco
allora che tutti sottolineano che “l’Africa, considerata
non paese per paese ma come continente, ha in media il 6 per cento di
crescita e che non vuole fermarsi qui”
e ricordano le lezioni che per decenni il Fondo
monetario internazionale, gli Stati Uniti e l’Europa hanno inflitto
all’Africa sull’indebitamento, con il sottinteso che ora tocca a
noi occidentali sforbiciare di brutto l'indebitamento dei nostri
Paesi.
Sbagliatissimo,
visto da qui, parlare di Africa povera: quel che traspare, piuttosto,
è un'Europa inarrestabilmente in declino a fronte di un
ex-terzomondo in frenetica ascesa. E il capitale investe dove attende
di avere ritorni sicuri, che possono esserci solo laddove i trend
economici sono in ascesa. Come dire che la vecchia Europa non è
certo un cavallo su cui scommettere o su cui il capitale
internazionale è più disposto a mettere a rischio le proprie
ricchezze.
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