20 gennaio 2014

Michele Serra - GLI SDRAIATI: bel libro, anche se...

-Intelligenza arguta e ottima penna: questo, per come lo conosciamo, è MICHELE SERRA, che conosciamo ora anche come padre, grazie al suo ultimo libro “GLI SDRAIATI” (ed. Feltrinelli) in cui racconta del rapporto tra lui, padre quasi sessantenne e il figlio diciottenne.
L’inizio del libro è un richiamo stizzito (e ricorrente, si direbbe) del padre: “Ma dove cazzo sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai”
E subito entra con tutto il suo mestiere, la penna abile e colta del Serra che conosciamo da tanto tempo, con un susseguirsi di figure retoriche anche ardite e sintassi impegnativa, che fanno quasi venir la voglia di chiudere il libro prima della fine della prima pagina: “Il tuo cellulare suona a vuoto, come quello dei mariti adulteri e delle amanti offese. La sequela interminata degli squilli lascia intendere o la tua attiva renitenza o la tua soave distrazione: e non so quale sia, dei due “non rispondo”, il più offensivo.

Per non dire della mia ansia quando non ti trovo, cioè quasi sempre. Ho imparato a relegarla tra i miei vizi, non più tra le tue colpe. Non per questo è meno greve da sopportare. Ogni sirena di ambulanza, ogni riverbero luttuoso dei notiziari scoperchia la scatola delle mie paure. Vedo motorini schiantati, risse sanguinose, overdosi fatali, forze dell’ordine impegnate a reprimere qualche baldoria illegale”.
Vale, tuttavia, la pena di reggere lo sforzo e continuare la lettura di questa sorta di diario/lettera in cui Serra padre si rivolge direttamente al figlio, al quale confessa pensieri, proponimenti, ansie di chi si interroga sul proprio ruolo di genitore, unitamente a considerazioni più generali, storico-sociologiche, relative al rapporto tra generazioni tanto diverse tra loro e dove guarda alla  situazione in cui si trovano a vivere i giovani d’oggi.
Un padre che si interroga sul proprio ruolo, che appare oggi meno nitido e certo di un tempo: “Una fragilità materna, non preventivata, rammollisce il mio aplomb virile. Mi rendo conto di sommare le due debolezze: la smania protettiva della Madre, le pretese di rettitudine del Padre. Mi vedo soccorrerti e contemporaneamente sgridarti, caricatura schizofrenica dell’autorità”.
A render pienamente conto della vena materna del Serra-genitore sono le pagine dedicate a una certa trasandatezza del figlio verso le cose di casa, a cominciare dal tappeto dell’ingresso (“Le tracce della tua presenza sono inconfondibili. Il tappeto kilim davanti all’ingresso è una piccola cordigliera di pieghe e avvallamenti. La sua onesta forma rettangolare, quando entri o esci di casa, non ha scampo: è stravolta dal calco delle tue enormi scarpe, a ogni transito corrisponde un’alterazione della forma originaria”) violentato dalle snakers del figlio (“tu e la tua tribù avete abolito sandali e mocassini in favore di quegli scafi di gomma imbottita che vi ingoiano i piedi per tutto l’anno, nella neve fradicia come nella sabbia arroventata”).
Si continua con le lamentazioni del padre per le tracce lasciate dal figlio nei vari angoli della casa, a cominciare dal bagno, senza trascurare particolari anche poco edificanti,, come gli sputi di dentifricio nel lavandino e le “righe di merda” che rimangono al water. Se così stanno le cose, se tanta è l’attenzione all’ordine, alla pulizia e al decoro, il Serra-genitore non ne esce bene, in quanto sembra una sorta di parodia dello stereotipo della casalinga frustrata o della suocera petulante…
A risollevare il tono del libro, è la sincerità con cui il genitore sa mettersi sotto esame, senza fare sconto alcuno alle sue debolezze e alle sue incertezze, che sono poi quelle di un’intera generazione: «Riconosco che di tutte le tradizionali attitudini del padre – stabilire regole, rimproverare, punire, disciplinare – non sono un convincente interprete. Le volte che tento di riportare ordine, sottolineare regole, sento di avere il tono incerto dell’improvvisatore, non il tono autorevole di chi è sicuro del proprio ruolo. Sento di sembrare uno che si è ricordato all’improvviso, costretto dall’emergenza, che avrebbe avuto il compito di governare. E non lo ha fatto. E simula, come il più ipocrita e il più inetto dei politici, di avere un programma di governo affastellando alla rinfusa mozziconi di regole, minacce improbabili, ricatti sentimentali, con la voce che oscilla dal borbottio lugubre all’acuto nevrastenico. Nel corso di questi concitati e per fortuna rari comizi domestici, dubito di almeno la metà delle cose che dico.”
A dare il titolo al libro è la predilezione del figlio a fare del divano il proprio “habitat prediletto”, dove “vivi sdraiato”.
La comunicazione verbale tra padre e figlio è la grande assente in queste pagine, dove il Serra-scrittore-genitore continua nell’analisi meticolosa di usi e costumi di questo diciottenne appartenente alla nuova tribù dei multitasking: «Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole. Annoto con zelo scientifico, e nessun ricamo letterario. Sopra la pancia tenevi appoggiato il computer acceso. Con la mano destra digitavi qualcosa sullo Smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un würstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo, su una serie americana nella quale due fratelli obesi, con un lessico rudimentale, spiegavano come si bonifica una villetta dai ratti. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all’iPod occultato in qualche anfratto: è possibile, dunque, che tu stessi anche ascoltando musica». 
Nella prima parte del libro predomina, potremmo dire, la fase critica verso le nuove generazioni e il figlio che ad esse appartiene, visti come un qualcosa di funzionale alle esigenze della società consumistica («Tu sei il consumista perfetto. Il sogno di ogni gerarca o funzionario della presente dittatura, che per tenere in piedi le sue mura deliranti ha bisogno che ognuno bruci più di quanto lo scalda...»), come se le generazioni precedenti si siano contraddistinte per morigeratezza nei consumi e autonomia di giudizio nelle scelte.
Le distanze tra padre e figlio sembrano farsi insormontabili in occasione dell’uscita nelle Langhe per la vendemmia, vissuta con entusiasmo e trasporto d’altri tempi da Michele Serra e dai suoi amici che lo aiutano nel lavoro; subita come una sorta di “obbligo di famiglia” da parte del figlio, che, non per niente, si alza a mezzogiorno e non si fa minimamente coinvolgere dall’atmosfera festaiola e lavorativa che anima gli adulti.
E i giudizi sui giovani assumono qui toni quasi impietosi e senza possibilità di appello: Sono sdraiati, incapaci di portare a termine qualsivoglia lavoro. Senza chiudere mai il cerchio delle loro vite, aprono gli armadi, i cassetti, le porte, senza richiuderli, tirano fuori una bottiglia dal frigo senza riporla, aprono mille finestre senza mai uscirne”.  
Michele Serra sa bene che le cose NON POSSONO stare semplicemente così e illuminanti sono le riflessioni che ci offre per spiegare ciò che agli adulti appare come indifferenza e abulia da parte delle nuove generazioni: Dopotutto siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea...e pretendere, in questo mondo usato, di sentirvi esclamare "che bello!", di vedervi proseguire entusiasti lungo strade già consumate da milioni di passi, questo no, non ce lo volete - potete, dovete - concedere. Il poco che riuscite a rubare a un mondo già saccheggiato, ve lo tenete stretto. Non ce lo dite, "questo mi piace", per paura che sia già piaciuto anche a noi. Che vi venga rubato anche quello”.
A chiudere il racconto/lettera è la gita che i due protagonisti fanno sul Colle della Nasca. Anche qui il figlio deve sentire le prediche paterne sull’abbigliamento poco adatto e anche su come si mette il berretto: “Te lo sei messo con la visiera al contrario, non ho potuto evitare di farti notare che la funzione della visiera è riparare gli occhi dal sole». «Io invece mi riparo la nuca» risponde il figlio, che sale veloce, più agile del padre, che lo chiama spaventato quando non lo vede più vicino a se’. A chiusura, il figlio risponde al richiamo paterno, si ferma ad aspettare il genitore e lo accoglie con un bel sorriso che allontana tutte le incomprensioni e le difficoltà che abbaimo conosciuto nelle pagine precedenti.
Un libro forse fin troppo “costruito” e  non così importante come certa critica compiacente vorrebbe farci credere. Non ne esce certamente bene il Serra-genitore - di estrazione borghese post-sessantotto - troppo preso dal desiderio di mettere tutto bene in ordine nella sua bella e linda casetta e che pretende di suscitare l'entusiasmo del figlio con l'improbabile vendemmia nelle Langhe. Il libro si salva per la magnanimità con cui, verso la fine, riesce  a guardare, comprendere  e accettare quelli che prima sembravano i limiti dei giovani d’oggi e per come tratteggia la difficoltà che si incontra a essere giovani oggi, quando sembra che gli adulti che ti stanno a fianco abbiano già fatto tutto prima di te...



Nella parte centrale del libro troviamo una sorta di digressione dedicata alla guerra prossima-ventura che sarà combattuta tra i giovani e i vecchi, quale esito finale delle asimmetrie demografiche che interessano il nostro mondo. SI tratterebbe, nella finzione narrativa, di un episodio  del nuovo romanzo cui sta lavorando genitore-scrittore, intitolato LA GRANDE GUERRA FINALE, “quella tra Vecchi e Giovani, che dà il titolo a un romanzo grandioso e definitivo al quale sto lavorando da parecchio tempo”.
“Intorno alla metà di questo secolo, secondo tutte le previsioni, la classe dominante, in Occidente, saranno i vecchi. A meno di invasioni vincenti dei popoli poveri (poveri e giovani saranno, anzi già sono, ormai sinonimi), le persone dai settantacinque in su saranno più della metà della popolazione. Ripeto e sottolineo: più della metà della popolazione. Miliardi di dentiere batteranno il ritmo del tempo residuo, miliardi di pannoloni assorbiranno le ultime acque di corpi disseccati. Un’umanità sfinita e transennata cercherà di protrarre oltre ogni logico limite il proprio potere. Ho qualche probabilità di farne parte, se tengo in ordine le mie arterie, la smetto di bere e fumare, evito i formaggi”.
A risolvere questa lunga guerra tra contrapposte generazioni sarà Brenno Alzheimer, l’eroe della nuova opera che tradirà la sua parte, quella dei vecchi, e “simpatizza con il nemico, e trama in gran segreto per l’affermazione dei Giovani, fino a immolarsi per la causa. Scoperto, viene condannato alla fucilazione ma riesce a morire prima dell’esecuzione sospendendo i farmaci contro l’ipertensione”.

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