Francesco Pugliarello ne parla nel libro “Fabio, lo specchio nascosto dentro di
noi”, dove mette bene in risalto “i
passi da gigante che hanno fatto questi ragazzi negli ultimi decenni” e il
persistere di pregiudizi che interpretano la mansuetudine e la tolleranza dei
ragazzi Down quali segno di incapacità. Ignorano che “Fabio ed altri compagni come lui lavorano, sono resistenti alla
fatica, praticano sport e amano realmente”.
Fino agli anni Sessanta, le persone affette da sindrome di Down erano considerate “prive di raziocinio e di autocoscienza”, quasi relegate a una sorta di sottospecie umana.
Sull’Enciclopedia Medica Labora (del 1950) possiamo leggere che ““…tra le varie forme di deficienza mentale, i Down sono i meno capaci di apprendere”, e quindi “è conveniente l’internamento in speciali Istituti”.
Accade così che, ancora oggi, se guardiamo alle prestazioni scolastiche improntate alle capacità logico-matematiche o ai test di valutazione del Q.I., i risultati ottenuti da un ragazzo Down sono molto bassi rispetto alla media.
Fino agli anni Sessanta, le persone affette da sindrome di Down erano considerate “prive di raziocinio e di autocoscienza”, quasi relegate a una sorta di sottospecie umana.
Sull’Enciclopedia Medica Labora (del 1950) possiamo leggere che ““…tra le varie forme di deficienza mentale, i Down sono i meno capaci di apprendere”, e quindi “è conveniente l’internamento in speciali Istituti”.
Accade così che, ancora oggi, se guardiamo alle prestazioni scolastiche improntate alle capacità logico-matematiche o ai test di valutazione del Q.I., i risultati ottenuti da un ragazzo Down sono molto bassi rispetto alla media.
Ma “i test psicologici
non indagano le competenze più recondite legate all’intelligenza creativa,
all’abilità di cogliere nell’intimo delle persone: in altre parole la capacità di provare forti emozioni”
osserva Francesco Pugliarello, che continua osservando come “questi ragazzi, a compensazione della
scarsa capacità logica, possiedono una sensibilità empatica originalissima”.Sicuramente toccanti e, al contempo, illuminanti alcuni
passaggi di Pugliarello, quando dice che il down “è una persona che esige rispetto perché, per natura, rispetta chiunque,
specie se in difficoltà come lui e contrariamente agli stereotipi che gli
abbiamo cucito addosso, è capace e cosciente. Cominciamo
anche a sfatare il luogo comune secondo cui sia una persona felice perché
mostra disinvoltura e allegria.
Non sempre è così. Quando diventa adulto, si pone domande come chiunque; riflette sul suo futuro ma non sa progettarlo perché è per natura tributario di chi gli sta accanto e tale potrebbe restare con le sue ansie: non riesce a decifrarle e se è in grado, per non tubarci le camuffa. Egli saprà soltanto accettare o rifiutare quanto gli si propone, sta a noi capirlo, tenendo presente che in questa figura si condensa la fragilità e la resistenza dell’essere umano. Diventa pertanto nostro dovere sentire l’obbligo morale di ricambiare l’affetto che egli ci offre senza la pretesa di un tornaconto, perché ha bisogno di noi e non riuscirà mai a serbare rancore, nemmeno se riceverà delle contrarietà. In questo, forse solo in questo, è diverso da noi”.
Una persona con sindrome di Down possiede, dunque, qualcosa che l’Homo Oeconomicus odierno, razionale e calcolatore, sembra avere definitivamente smarrito: una tendenza alla condivisione degli affetti, una capacità di “sentire dentro” ciò che l’interlocutore sta provando.
Se un giorno avremo “uno strumento che sarà in grado di misurare il peso empatico dell’essere umano, allora ci accorgeremo di aver sottovalutato e qualche volta disprezzato per presunzione le qualità umane e le potenzialità delle persone con disabilità intellettiva, specialmente quelle con la sindrome di down” osserva ancora Francesco Pugliarello e per quanto riguarda il giorno d’oggi, è forse il momento di guardare a questi ragazzi per ritrovare un po’ di quel saper vivere in armonia con gli altri e di prendersi cura dei loro bisogni che potrebbe giovare alla qualità della nostra vita frenetica ed esasperatamente “individualizzata”.
Non sempre è così. Quando diventa adulto, si pone domande come chiunque; riflette sul suo futuro ma non sa progettarlo perché è per natura tributario di chi gli sta accanto e tale potrebbe restare con le sue ansie: non riesce a decifrarle e se è in grado, per non tubarci le camuffa. Egli saprà soltanto accettare o rifiutare quanto gli si propone, sta a noi capirlo, tenendo presente che in questa figura si condensa la fragilità e la resistenza dell’essere umano. Diventa pertanto nostro dovere sentire l’obbligo morale di ricambiare l’affetto che egli ci offre senza la pretesa di un tornaconto, perché ha bisogno di noi e non riuscirà mai a serbare rancore, nemmeno se riceverà delle contrarietà. In questo, forse solo in questo, è diverso da noi”.
Una persona con sindrome di Down possiede, dunque, qualcosa che l’Homo Oeconomicus odierno, razionale e calcolatore, sembra avere definitivamente smarrito: una tendenza alla condivisione degli affetti, una capacità di “sentire dentro” ciò che l’interlocutore sta provando.
Se un giorno avremo “uno strumento che sarà in grado di misurare il peso empatico dell’essere umano, allora ci accorgeremo di aver sottovalutato e qualche volta disprezzato per presunzione le qualità umane e le potenzialità delle persone con disabilità intellettiva, specialmente quelle con la sindrome di down” osserva ancora Francesco Pugliarello e per quanto riguarda il giorno d’oggi, è forse il momento di guardare a questi ragazzi per ritrovare un po’ di quel saper vivere in armonia con gli altri e di prendersi cura dei loro bisogni che potrebbe giovare alla qualità della nostra vita frenetica ed esasperatamente “individualizzata”.
Una chiave per
interpretare i nostri adolescenti
A questo proposito, è opportuno ricordare che molte scoperte sono nate e nascono grazie a “meccanismi che passano dalle emozioni”. Se questo è evidente negli artisti, va tuttavia ricordato che gli stessi scienziati usano “formule cha a loro volta sono precedute dall’intuizione, figlia delle emozioni”, come ci ricorda Eric Kandel, insignito nel 2000 del Premi Nobel per le neuroscienze.
A livello scientifico, si riconosce che “in generale la parte emotiva del cervello è molto più raffinata e completa di quella logico-razionale… è quella che Gustav Jung chiamava “intelligenza emotiva” della nostra personalità e la collocava nell’emisfero destro del cervello, complementare all’altro emisfero che presiede l’ambito dell’”intelligenza razionale”.
Secondo Kandel, ci aggrappiamo all’idea/illusione che quella razionale sia l’eccellenza della mente umana anche perchè “quando l’istinto sbaglia, sbaglia di brutto, e questo sbaglio ci fa sentire traditi” e solo allora invochiamo la ragione”.
A questo proposito, è opportuno ricordare che molte scoperte sono nate e nascono grazie a “meccanismi che passano dalle emozioni”. Se questo è evidente negli artisti, va tuttavia ricordato che gli stessi scienziati usano “formule cha a loro volta sono precedute dall’intuizione, figlia delle emozioni”, come ci ricorda Eric Kandel, insignito nel 2000 del Premi Nobel per le neuroscienze.
A livello scientifico, si riconosce che “in generale la parte emotiva del cervello è molto più raffinata e completa di quella logico-razionale… è quella che Gustav Jung chiamava “intelligenza emotiva” della nostra personalità e la collocava nell’emisfero destro del cervello, complementare all’altro emisfero che presiede l’ambito dell’”intelligenza razionale”.
Secondo Kandel, ci aggrappiamo all’idea/illusione che quella razionale sia l’eccellenza della mente umana anche perchè “quando l’istinto sbaglia, sbaglia di brutto, e questo sbaglio ci fa sentire traditi” e solo allora invochiamo la ragione”.
E questo vale, secondo Pugliarello, anche per quel che
succede ai nostri adolescenti, che “si
rivolgono a noi per essere confortati nelle decisioni dettate prevalentemente
dall’istinto”: quando i nostri ragazzi si rivolgono a noi “per essere confortati nelle loro azioni
“istintive”, non è detto che siano in
errore”: è il sentimento che guida i nostri adolescenti piuttosto che il
pensiero astratto e per evitare che istinto/ragione vadano in corto circuito, “è necessario ed opportuno che le loro suggestioni
siano filtrate alla luce della nostra logica, senza pretendere più di quanto
possano dare”. Anche per questi ragazzi, liberare l’istinto e agevolare la
spontaneità è la via migliore “per
seguire il proprio talento e perché no, anche la via maestra per raggiungere la
felicità”. Allora, perché non imitarli? Non assecondarli? Perché
pretenderne l’omologazione?
F. Pugliarello, “Fabio, lo specchio nascosto dentro di
noi” Un approccio alle dinamiche emotive di una persona
down, Centro
Editoriale Toscano, Firenze 2009
Buongiorno,
RispondiEliminasono l'autore del libro da cui avete tratto gli spunti per l'argomento di cui ho apprezzato l'ottima impostazione su una delle principali caratteristiche delle persone down. Ovviamente non posso che essere lusingato per l'impostazione e la scelta dell'argomento (peraltro poco diffuso in letteratura) e di questo vi ringrazio. Apprezzo inoltre la scelta oculata dei virgolettati e gli illuminanti concetti che sembrano ripresi da un nuovo testo che vedrà la luce quando troverò un nuovo editore... "intelligente".
Vista la sintonia culturale sarei felice essere da voi invitato alla presentazione del prossimo libro in compagnia dell'amico antropologo Alessandro Bertirotti.
Con stima, Francesco Pugliarello
francesco2002.pf@libero.it