5 gennaio 2015

"La Russia in guerra" e i nuovi (preoccupanti) scenari

-“La Russia in guerra”: titolo che non necessita di commenti quello dell’ultimo numero di LIMES (nota e autorevole “rivista italiana di geopolitica” diretta da Lucio Caracciolo) che abbiamo potuto leggere durante questa lunga pausa natalizia.
Duecento pagine fitte, che spaziano dalla ricostruzione di fatti ormai storici per arrivare  quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, il tutto sostenuto da analisi approfondite, opera di una ventina di autori, non solo Italiani. Tra di loro, docenti universitari come il geografo Edoardo Boria della Sapienza e Aldo Ferrari, slavista presso Cà Foscari, giornalisti ed esperti di geopolitica.
A fare da filo conduttore, le attese deluse della Russia o, per dirla vedendo la storia dalla parte russa, il “tradimento” operato dalla NATO che, diversamente dalle assicurazioni date a Gorbaciov, si è allargata ai Paesi ex-Patto di Varsavia.
“Il principale favore di Gorbaciov all’Occidente, che difficilmente i russi dimenticheranno, fu di acconsentire a che la Germania riunificata entrasse nella Nato.
Naturalmente, nel 1990, nessuno poteva immaginare che l’allenza si sarebbe espansa fino ai confini dell’ex URSS, magiandosi tutto lo spazio di sicurezza costituito dal Patto di Varsavia… l’avanzamento della Nato verso est fu reso possibile dalla convinzione di Mosca che ciò fosse utile e desiderabile. Europei e Americani insistevano sull’inclusione della Germania unita nell’Alleanza anzitutto per tener Bonn sotto controllo: in caso contrario, sostenevano, vi era il rischio di un pericoloso revanchismo tedesco. Dopo alcune esitazioni, Gorbaciov si lasciò convincere, apparentemente guidato dalla sua fede in una comune casa europea priva di fratture e divisioni. Ma questo sogno non si realizzò; piuttosto, i vicini della Russia cominciarono a comportarsi come se fossero gli unici padroni” (Fedor LUK’JANOV, “Ritorno alle origini”, pag. 94).
Interessante, venendo ai giorni nostri, il confronto tra Obama e Putin che ci offre Keith BOTSFORD, scrittore e professore emerito alla Boston University, secondo il quale “non si può capire l’uno senza studiare l’altro: il Re Filosofo e l’Aspirante Zar”, entrambi “avidi di potere” e uniti dalla professione religiosa, con Obama proveniente dal Risveglio battista e Putin dall’Ortodossia russa. Ma ben diversi i rispettivi background, in quanto “Obama è il sottoprodotto dell’élite americana, della sinistrorsa e politicamente corretta Harvard. Ha sempre conosciuto le persone giuste e avuto accesso al loro denaro…Putin è un autentico proletario. Russo sovietico, figlio dei suoi tempi, ha colto a piene mani la sua occasione quando si è presentata, con molto cervello, notevole coraggio e una feroce determinazione a ricreare la Russia che tutti i russi sentivano propria”.
Quanto sta accedendo in Ucraina, a questo punto, sembra riportare indietro la storia e ci (ri)troviamo con  USA e Russia che si affrontano come le superpotenze di un tempo. E’ ben vero che, ai tempi della guerra fredda, le armi occidentali erano dispiegate a notevole distanza dai confini sovietici mentre ora le abbiamo a 15° chilometri da San Pietroburgo. Ma questo è un elemento che aggrava l’instabilità e non dobbiamo illuderci che le sanzioni economiche possano essere sufficienti a piegare la Russia di Putin. Quest’ultimo ha avviato ormai solidi rapporti economici con al Cina e, anche per questo,  “presto o tardi la guerra economica dovrà comunque terminare oppure scalare la soglia militare", un’eventualità che oggi è “meno impensabile” di un tempo.
Se molti commentatori hanno accreditato lo scenario confortante di una “nuova guerra fredda”, secondo Virgilio ILARI (Presidente della Società Italiana di Storia Militare), va tenuto conto che vi sono oggi “fondamentali differenze rispetto al paradigma della guerra fredda”. Basi pensare, a questo proposito, che il Cremlino di allora “sapeva di non poter contare fino in fondo sul patriottismo socialista dello stesso popolo russo, per non parlare delle altre nazioni sovietiche e dei paesi satelliti”, mentre oggi Putin gode dell’appoggio convinto del nuovo “patriottismo russo”, quel consenso popolare che è un fattore “immateriale” di fondamentale importanza, di cui difetta, di contro, l’occidente dei giorni nostri.
La crisi ucraina, per quanto messa in secondo piano dai media occidentali, rischia di essere l’occasione che può farci precipitare verso la catastrofe, perché, vista dalla parte russa, “la posta in gioco è massima” come osserva Lucio CARACCIOLO prima di riportare le parole dello stesso PUTIN: “o rimaniamo una nazione sovrana, oppure ci dissolviamo senza lasciar traccia e perdiAmo la nostra identità”, quando parla il 4 dicembre scorso e chiama a raccolta il suo popolo ed esalta il suo “formidabile esercito” contro le trame oscure dell’occidente che “senza dubbio vorrebbe lasciarci seguire lo scenario jugoslavo della disintegrazione e dello smembramento”. Uno scenario che Putin intende evitare con tutte le sue forze e con ogni mezzo, vestendo i panni del supremo condottiero nella nuova guerra patriottica.
Lo scenario è tutt’altro che pacifico, con l’Ucraina che rischia di diventare una “Somalia europea” in una crisi che “minaccia di scavare un fossato permanente tra euro-americani e russi”, con un Europa sempre più debole e divisa al proprio interno e “costringe Mosca a collaborare con i suoi nemici storici, cinesi e turchi”.

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